"Core 'ngrato", celebre canzone napoletana cantata a sorpresa da Beniamino Gigli in un locale romano - TEMPO, 20 luglio 1939
Incontrato in un locale romano da un nostro redattore, Beniamino Gigli, anzichè concedere un'intervista, ha preferito farsi ritrarre, mentre canta apposta per 'Tempo' "Core 'ngrato", la celebre canzone napoletana di R. Cordiferro e S. Cardillo. ("Tempo", 20 luglio 1939)
7 settembre 1946, pomeriggio, sull' "Unidad", nel Diario de la tarde, di San Sebastián (Spagna), appare un'intervista a Beniamino Gigli :
«C'è chi dice che io presumo di essere il maggiore tra i tenori del mondo, ma niente è più lontano dai miei pensieri. Io so solamente che madre natura mi ha donato facoltà eccezionali e che in seguito ho avuto la grande fortuna di incontrare un grande maestro di canto, Rosati, che vive tuttora a New York. A questi due fattori devo tutto ciò che io sono e il fatto di cantare come canto. Non è mio merito né più né meno, perché io mi sono lasciato condurre, ho lavorato con fede e con affetto, e in seguito non mi sono mai allontanato dalla linea che mi hanno tracciato i miei maestri, e oggi posso dire che la mia voce è ferma e sicura come deve sempre essere udita.
Nelle mie "performances" per il mondo, e concretamente al Metropolitan, ho avuto occasione di conoscere i tenori spagnoli Miguel Fleta e Ipolito Làzaro. Io li ammiravo veramente, ma purtroppo oggi la loro voce non esiste più. Io però ho cantato anche con altri interpreti spagnoli quali José Mardones e Lucrezia Bori, e di costoro posso dire che erano un caso simile al mio. Qui in Spagna è la seconda volta che mi esibisco. Nel 1917 ho cantato al Liceo di Barcellona e al Real di Madrid, e quando penso a questi due momenti della mia vita mi torna in mente un episodio che tengo molto caro. A Madrid vivevo in un Hotel molto vicino al Teatro Real. Una notte, un giornalista voleva farmi un'intervista, ma io gli dissi che l'avrei ricevuto il giorno seguente alle ore 10 del mattino. E così fu perché un cameriere dell'Hotel, un certo Paco, il giorno dopo mi chiamò e mi disse che in basso c'era un signore che chiedeva di vedermi. Io gli dissi in italiano: Che salga (que suba). Il cameriere fece il suo dovere ben sapendo che le parole Che salga significavano in castigliano esattamente il contrario. Anche in questa mia seconda tournée in Spagna ho il piacere di profittare della gentilezza e della disponibilità delle città, della gente e dell'ambiente. (...)
Esistono pochi maestri di canto buoni. L'unico segreto dei maestri di canto consiste nel non deformare nemmeno il minimo dettaglio che la natura abbia donato al cantante o all'aspirante tale in ciò che è il suo organo d'emissione naturale. Nel momento in cui questo viene forzato si spacca, per cui tanti esordienti che parevano inizialmente brillare, ben presto si eclissano. Il lavoro del maestro di canto sta senza dubbio qui, mentre l'allievo deve avere una totale fiducia in quello che sta facendo sotto la guida di un insegnante. E' evidente che se il maestro non conosce il suo mestiere, il risultato potrà essere disastroso. Il maestro deve innanzitutto prendere nota delle qualità del suo allievo e delle possibilità che ha di riuscire, in modo da sviluppare le facoltà del giovane senza modificare nulla della sua voce. Purtroppo un tenore "lirico" vorrebbe diventare un "lirico spinto", come pure un "lirico spinto" tende verso il "drammatico". Quanti equivoci per questo motivo! Io so per esperienza personale che all'inizio dei miei studi cercavo di emettere la mia voce con impeto, senza economizzarla, preferendo i passaggi più arditi del genere drammatico. Il maestro Rosati, che si fece carico d'insegnarmi, ci mise due anni ad impostare la mia voce con brani più leggeri possibile e con piccole frasi liriche. Io mi disperavo, ma lui sembrava non preoccuparsene, fino a quando, dopo due anni, ho raccolto il frutto della mia ubbidienza, al punto che ho avuto alcuni momenti di sconforto pensando che non avrei mai potuto percorrere la strada iniziata. E lo stesso succede per i soprano e in generale per tutte le corde.
Quanto al punto che lei ha toccato concernente l'interpretazione delle opere, il pubblico di solito aspetta di sentire le arie più famose e, cantate queste, tutto il resto della rappresentazione passa in secondo piano. Io, durante tutta la rappresentazione invece, vivo il personaggio che rappresento, lo sento intimamente, ne studio frase per frase, scena per scena, metto sentimento in tutto ciò e m'attengo al dettato dell'autore. A proposito di ciò alla Scala, quando Aureliano Pertile cantava "Il Trovatore", nel punto della celebre pira del IV atto, non fece il "do di petto" così tradizionale ma si contentò piuttosto di un "sol naturale". Il giorno seguente tutta la critica milanese esclamava compiaciuta: "Era ora di evitare vizi stupidi!" Chiaramente ciò fu possibile perché dirigeva l'orchestra il maestro Arturo Toscanini che impedì di cantare il "do di petto". Questo però è un piccolo fatto dei quali gliene potrei riferire a migliaia. A me personalmente importa di cantare ciò che il compositore ha scritto e non di copiare ciò che qualche cantante ha introdotto estemporaneamente nell'opera o per farsi applaudire con l'acuto, o per coprire la sua incapacità. Noi dobbiamo educare il pubblico ad esigere il preciso dettato del compositore in modo da non pregiudicare la riuscita della rappresentazione. Grazie a questo criterio la mia voce è rimasta intatta e le mie facoltà vocali integre al punto che credo di cantare per molti anni ancora.»
(da "Beniamino Gigli a San Sebastián. L'uomo, il cantante, il maestro" - Intervista a Beniamino Gigli, firmata da Angel Inaraja Ruiz, apparsa nel pomeriggio del 7 settembre 1946, sull' "Unidad", nel Diario de la tarde, di San Sebastián - Spagna)
[N.B. il 7 settembre 1946, alle ore 22.30, presso il Teatro Victoria Eugenia di S. Sebastián, Beniamino Gigli canta "Manon" di Massenet con M. Favero, G. Manacchini, R. Torres, direttore N. Annovazzi.]
BENIAMINO GIGLI SULL'IMPORTANZA DELL' "ESEMPIO PRATICO", MOSTRATO CONCRETAMENTE AGLI STUDENTI, DA PARTE DEGLI INSEGNANTI DI CANTO !!!
<<Parlare dell'arte del canto è arduo e ancora più arduo è insegnarla, perché a parte il dono di natura, si tratta di riuscire a esprimere il significato di ciò che s'interpreta. Quindi i maestri di canto dovrebbero insegnare non soltanto la teoria, ma dimostrare praticamente, eseguendo loro stessi i passi più disagevoli, come si superino le difficoltà.>>
(dall'articolo di giornale, "Milano. Gigli, insegnaci a cantare" - Il Popolo d'Italia, 1 marzo 1938)
Masterclass di Bel Canto di Beniamino Gigli al Conservatorio di Milano - 28 febbraio, 10 marzo 1938
"Per ciò che riguarda più specificamente la voce, se è vero che nulla può fare il maestro per quello che è il timbro o il colore, è anche esatto che deriva proprio dall’abilità dell’insegnante l’appoggio, l’imposto, la sonorità della voce stessa, ossia la posizione di risonanza della cassa armonica per trarre dalle vibrazioni delle corde vocali e dal mantice dei polmoni i più grandi e più variati effetti col minore dispendio di forze e dunque coi migliori risultati."
"(...) il miglior augurio che io sento di fare ad ogni giovane iniziato nel canto è quello di poter essere, durante i suoi anni di preparazione e di studio, amico e compagno di qualche artista provetto che trasfonda in lui il suo fervore di perfezione con quella che resta e resterà sempre la scuola migliore: L’ESEMPIO.
Io, vedete, non cesso e non cesserò mai di testimoniare la mia gratitudine alla grande Rosina Storchio, a fianco della quale, nei primordi della mia carriera, ho appreso più che con qualsiasi maestro. In fatto d’arte, e specialmente a proposito del canto, la teoria risulta spesso impotente; ripeto che soltanto l’esempio vale qualche cosa; esempio che riuscirà tanto più fecondo, quanto più sarà il prodotto organico d’un lavoro sano e di uno spirito creatore..."
(Beniamino Gigli - "Confidenze", Istituto per l’Enciclopedia De Carlo, 1942)
Tre i punti cardine del discorso gigliano:
1) ci vuole L'ESEMPIO che nel contesto implica non l'accennare qualche nota con la voce, ma saper mostrare e dimostrare di dominare le più complesse arie e ruoli del repertorio operistico
2) si dice che ha imparato più dall'esempio di un soprano - SCONFESSANDO LO STEREOTIPO CHE CHI HA VOCE DA TENORE NON POSSA STUDIARE IN MODO PROFICUO SE NON CON UN TENORE, stessa cosa vale per gli altri registri, in realtà l'esempio se è buono va bene sempre che te lo dia un basso e lo studente è soprano o viceversa che te lo dia un soprano e lo studente è un baritono ecc. ecc.
3) la teoria alla fine è "impotente", solo l'esempio canoro dato da un professionista che usa la voce in modo lirico ha valore
Perciò Gigli qui affermava che non ci sono registri superiori ad altri (ad es. quello del tenore) e che conta solo l'ESEMPIO vocale, chi non è cantante lirico e inoltre non è, tra i cantanti lirici, in grado di poter essere un modello virtuoso in tal senso, non può (o meglio: non dovrebbe!) insegnare canto lirico né tanto meno belcanto!
Ottawa. Gigli a électrisé son auditoire de la Capitale.
<< (...) Il suffisait de lire le programme du ténor italien pour se rendre compte des capacités de ce dernier. Personne autre que lui à 62 ans ne s'attaquerait à un aussi prétentieux mets composé de Meyerbeer et Mozart, de Schubert et Rachmaninov, de Curran et Verdi, de Chopin et Massenet, de Di Veroli et Leoncavallo, pour n'en nommer que la moitié, personne, dis-je, ne réussirait à faire ressortir et à souligner vocalement chacune des particularités qui distinguent ces différents compositeurs. Ce ne sont pas les 62 années de Gigli qui sont phénoménales, mais bien ses 20 ans qui ont fait jaillir de sa gorge une limpidité vocale qu'ont entretenu ses 30 ans, préservé ses 40 ans et conservé ses 60 ans. Car aujourd'hui la voix de Beniamino Gigli est presque la même qu'il y a vingt ans. Il est en somme le seul véritable disciple du "bel canto". Rien n'empêche que c'est là le plus pur des genres, sinon le plus beau. Puisque l'on a entendu du bel canto si rarement, je dirais même que c'est le nouveau genre! (...) >>
(Victor Vicq - "Le Droit", 24 giugno 1952)
"(...) Bastava leggere il programma del tenore italiano per rendersi conto delle capacità di quest'ultimo. Nessuno a parte lui a 62 anni affronterebbe un 'menù' cosi' complicato composto di Meyerbeer e Mozart, di Schubert e Rachmaninov, di Curran e Verdi, di Chopin e Massenet, di Di Veroli e Leoncavallo, per citarne la metà, nessuno, dico, riuscirebbe a far emergere e a sottolineare le caratteristiche che distinguono i diversi compositori. Non sono i 62 anni di Gigli ad essere eccezionali, ma piuttosto i suoi 20 anni che hanno fatto sgorgare dalla sua bocca una purezza vocale intrattenuta ai suoi 30 anni, preservata ai suoi 40 e conservata fino ai suoi 60 anni. Perché oggi la voce di Beniamino Gigli è quasi la stessa di vent'anni fa. Egli è in sintesi il solo vero discepolo del "bel canto". Nulla impedisce (di dire) che sia il più puro tra i generi (musicali), addirittura il più bello. Poiché si ascolta il belcanto sì raramente, direi quasi che è il nuovo genere! (...)"
Beniamino Gigli con Luigi Ricci ("Il Trovatore", 9-12-1939)
BENIAMINO GIGLI E PIETRO MASCAGNI
Il 30 aprile 1917 andava in scena a Roma al Teatro Costanzi, la nuova opera di Pietro Mascagni, "Lodoletta". Con l'Autore sul podio e con una mirabile protagonista come Rosina Storchio, ci voleva un tenore degno di stare accanto a tanta artista e che sapesse interpretare l'opera mascagnana, che doveva recare, secondo le parole dell'Autore, all'umanità inasprita dalla guerra, un poco di amore e di pace. Un conforto, un sollievo, e dal lato artistico, un ritorno all'antico: ridare alla voce tutta la sua supremazia. Lavoro puramente italiano e di voluta semplicità. Questa supremazia data alla voce umana sull'orchestra, la melodia fresca, ispirata, piena di sentimento, richiedevano in verità artisti eccezionali. La Storchio, artista mirabile, era a posto, ma il tenore?.... La ricerca fu lunga e laboriosa. Mascagni ne sentì una trentina, ma... li scartò tutti. Ad Emma Carelli venne una geniale idea: "Maestro, perchè non prendiamo Beniamino Gigli?" - O Emma, ma lei scherza? - rispose Mascagni - il Gigli ha una bellissima voce, ma una voce da evirato, ed io ho bisogno di una voce maschia, robusta. Si ricordi che Flammen ha circa quaranta anni -. Ma ad Emma Carelli, donna lungimirante, quasi avesse un chiodo fisso in testa, andava dicendo: "L'unico tenore che può cantare Lodoletta è Beniamino Gigli". Ma niente da fare con Mascagni.
Ed eccoli di nuovo alla ricerca del tenore. Mancavano pochi giorni all'andata in scena di "Lodoletta" e l'interprete di Flammen?.....non si trovava per le esigenze dell'Autore. Quindi continui rinvii dell'andata in scena e sembrava che l'opera dovesse essere rimandata all'anno prossimo.
Finalmente la scelta cadde su il tenore Giuseppe Campioni, ottimo interprete di Isabeau dalla voce maschia, robusta come la desiderava Mascagni, ma quando si trattò di cantare a mezza voce ed eseguire le note acute piano, filate, il Campioni mostrò di trovarsi a disagio, ma Mascagni, per sostenere il suo punto di vista, era contento, e finalmente, con un ritardo notevole, l'opera fu varata.
L'esecuzione fu eccellente per parte dell'orchestra e di Rosina Storchio, protagonista insuperabile, ma la parte del tenore in molti punti affidata alla mezza voce, fusciupata dal Campioni e non riuscì a mettere in evidenza le bellezze di alcune pagine, e rendere con efficacia la sua parte, specialmente alla chiusa del primo atto. Con tutto ciò l'opera ebbe un grandissimo successo. Se ne ebbero varie repliche tutte esaurite. Ma Emma Carelli non poteva togliersi il chiodo e seguitava a dire: "L'unico tenore che può cantare Lodoletta, è Beniamino Gigli. Ah! ci fosse stato lui!".
In una replica dell'opera, un abbonato, mentre Mascagni si recava al podio, gli disse: "Povero uccellino (alludeva a Lodoletta) una di queste sere, questo cane se lo mangerà in un boccone!".
Mascagni, dopo qualche anno, ebbe a dire: "L'interprete di Flammen della Lodoletta a Roma? Fu un cane di tenore!".
Subito dopo le rappresentazioni del Costanzi, s'affrettò a godersi "Lodoletta". Mascagni, ricordando le parole della Carelli e l'insuccesso del Campioni, segretamente, impose al Comitato che organizzava la stagione, il tenore Beniamino Gigli: e Gigli fu scritturato. Ma Beniamino in principio era riluttante e non voleva accettare. Si ricordava che Mascagni non l'aveva voluto per la prima esecuzione, ma poi, data la sua nobile anima, accettò e l'opera la studiò con me. Io conoscevo bene, per essere stato presente a tutte le prove e le recite, l'interpretazione, i tempi precisi di Mascagni, insomma l'avevo nel sangue, e devo dire che Gigli studiò l'opera con grande impegno, con grande amore; l'opera sembrava scritta per lui, il suo cuore, il suo bel canto, lo trasfuse tutto nelle belle e pure melodie mascagnane, ricavandone effetti con soavissima mezza voce e mise tanto entusiasmo nello studio, che dopo una settimana, l'opera era pronta. Successo strepitoso.
Vi leggerò qualche brano di critica falciato da inutili particolari.
LA GAZZETTA LIVORNESE
"Beniamino Gigli ha il dono prezioso di una voce freschissima, simpaticissima, che gli sgorga spontanea, senza mai l'ombra di uno sforzo. Ha delle mezze voci di una soavità deliziosa. E' difficile trovare un tenore che possa unire alla robustezza della voce anche la dolcezza delle mezze voci, eppure Gigli riunisce questi due pregi. Nel finale del primo atto fu di una finezza straordinaria, quanto espressivo ed appassionato nel secondo e specialmente nella romanza del terzo".
IL CORRIERE DI LIVORNO
"Beniamino Gigli in quest'opera che è tutto canto, le sue virtù ebbero pieno rilievo; gustammo il puro timbro della sua voce, la dolcezza della sua mezza voce, il vero equilibrio con cui disegnò e visse la figura di Flammen".
E ancora, nella sua serata d'onore: LA GAZZETTA LIVORNESE
"Gigli nella parte di Flammen ha da lottare con difficoltà d'ogni sorta. Nel primo atto sono necessarie le dolcezze di una mezza voce soavissima: nel secondo una grande arte nel fraseggiare e nel terzo passione e vigore; ma Gigli in tutto riesce perfetto e sa raggiungere gli effetti vigorosi nei momenti in cui la passione deve traboccare, come sa piegarsi alle più garbate sfumature".
Insomma Gigli cantò le melodie mascagnane col meglio della sua voce e con tutta la passione della sua anima, e superò ogni più ardita previsione. Mascagni non solo si ricrebbe, ma in seguito ebbe a dire: "Il vero debutto e la vera trionfale carriera artistica di Beniamino Gigli, cominciò con la mia Lodoletta, a Livorno".
Emma Carelli che per curiosità andò ad ascoltare l'opera, disse all'Autore: "Maestro, avevo ragione di affermare che l'unico tenore che poteva cantare Lodoletta era Gigli?".
L'opera sempre con l'insuperabile interprete, fece il giro di molti teatri, ovunque riportando enormi successi.
Sui giornali di Roma viene annunciato: "Mentre la Scala di Milano rimarrà chiusa, al nostro Costanzi avremo la consueta grande stagione 1917-1918. Sarà inaugurata la sera del 26 dicembre con il Falstaff. Altre opere di repertorio, completeranno il cartellone".
Mentre la coraggiosa Emma Carelli organizzava questa stagione di Carnevale-Quaresima in momenti veramente difficili, causa la guerra, pensò: "Lodoletta ha trionfato a Roma e trionfa da per tutto. Bisogna battere il ferro quando è caldo, e per levarmi il chiodo ancora conficcato in capo, apro la stagione con Lodoletta e con Gigli". E così fece. Fu un trionfo. Chi ebbe la ventura di ascoltarlo non dimenticò in fretta la Ninna Nanna del primo atto "Bimba, non piangere" cantata con una mezza voce dolcissima, soffice, trasparente, e la frase, scoglio passato, presente e futuro, per i tenori: "Una nuvola d'argento" con salto d'ottava che va dal La basso al La acuto, preso pianissimo.
Ecco qualche critica:
Alberto Gasco su la TRIBUNA:
"Beniamino Gigli ha conquistato l'alloro dei vincitori nella scena finale del primo atto, e nella romanza dell'ultimo".
De Renzis sul MESSAGGERO:
"Beniamino Gigli alla parte di Flammen, così ricca di sentimento, ha dato un risalto che era assolutamente mancato nella prima edizione dell'opera".
Nicolino d'Atri sul GIORNALE D'ITALIA:
"Abbiamo iersera avuto la prima volta un'impressione esatta ed efficace - e non è nostra la colpa del ritardo - di quel che sia, in quest'opera, la parte del tenore. Tutti in teatro se ne rallegravano e ne attribuivano il merito a chi ne aveva diritto: al Gigli".
Adriano Belli sul CORRIERE D'ITALIA:
"La prima esecuzione romana non fu perfetta. Apparve assolutamente manchevole per parte del tenore, il quale non riuscì a mettere in evidenza le indiscutibili bellezze di alcune pagine. Bellezze che finalmente iersera apparvero in piena luce per merito di un giovane artista, Beniamino Gigli. Il Gigli ha infatti mezzi eccezionali, fluidità di emissione, calore comunicativo, accento vibrante, voce dolce e nello stesso tempo robusta che egli sa modulare con arte squisita e piegare ad ogni esigenza della parte. Il finale del primo atto fu detto da lui come meglio non si potrebbe desiderare. Il secondo atto che nella prima edizione apparve scialbo e privo d'interesse, venne eseguito con vivo compiacimento per il godimento che si provava nell'ascoltare il Gigli, il quale poi nella romanza del terzo atto riuscì a trascinare l'uditorio al più schietto entusiasmo".
Al battesimo Sud-Americano, a Buenos Aires, del "Piccolo Marat" di Pietro Mascagni, che proveniva dall'esito clamoroso del Costanzi, il 2 maggio 1921, e che pareva rinnovasse i fasti di "Cavalleria rusticana", il protagonista fu Beniamino Gigli.
Quando Gigli accettò di cantare il "Piccolo Marat", venne da me, come il solito, a studiare l'opera. Io avevo preparato, al Costanzi, tutti gli artisti della prima esecuzione e, presente l'Autore, ho suonato al piano tutte le prove di concertazione. Che prove! Che entusiasmo in tutti gli artisti! Mascagni era grande e insegnava la sua speciale mascagnana interpretazione in modo mirabile. Tutti pendevano dalle sue labbra e tutti cercavano di assecondarlo nel modo migliore. Erano entusiasti dell'opera e vedevano delinearsi il grande successo. Anche le prove di scena furono fatte da Mascagni e il Maestro era contento, contentissimo. Bei tempi! Oramai le sue interpretazioni mi erano entrate nel sangue e ogni giorno che passava diventavo sempre più mascagnano.
Come tutte le prime mascagnane, anche a Buenos Aires, con un complesso veramente eccezionale, fu grandiosa. Mascagni da Livorno, scrisse al Gigli, magnifico interprete: "Il successo del Piccolo Marat mi ha dato una grande soddisfazione, e non soltanto per me, ma anche per lei. Vedo che con l'interpretazione del Piccolo Marat sale i gradini a quattro a quattro. Le sono gratissimo di avere accettata la creazione del Sanculotto e m'auguro che abbia un po' di affetto per il piccolo giovinetto, e me lo porti a spasso per la gloriosa sua corsa attraverso il mondo........ Le esprimo tutta la mia gratitudine e formo per lei e per il suo avvenire artistico i voti più affettuosi e più sinceri!". E quando Pietro Mascagni lo invitarono a dirigere la sua opera "Isabeau" all'EIAR, (oggi RAI) di Torino, volle per la parte di Folco, Beniamino Gigli. Appena composta l'opera, accennando alla "Canzone del Falco", il Maestro ebbe a dire: "La tessitura è tutta centrale, non c'è una nota acuta e, malgrado ciò, essa difficilmente troverà il tenore ideale che canti questo pezzo come vorrei". Ma in Beniamino Gigli lo trovò, e non solo per la "Canzone del Falco" ma pel duetto, per tutte le scene importanti dell'opera, e realizzò il sogno dell'Autore nelle notti insonni, quando scriveva "Isabeau", abbandonato ad un ideale d'arte elevata.
Beniamino prima di accettare il contratto con l'EIAR, venne da me e mi chiese se poteva cantare "Isabeau", se l'opera era adatta ai suoi mezzi vocali. Io non solo gli dissi che la poteva cantare, ma che ne avrebbe fatta una grande esecuzione. Anche questa volta studiò l'opera con me, che non mancai di metterlo al corrente di tutti gli intendimenti mascagnani.
Mancavano due giorni alla partenza per la prima prova d'insieme a Torino, ma Gigli mi disse che voleva rimandare la partenza perchè desiderava approfondire ancora l'opera e presentarsi a Mascagni il più perfetto ossibile. Intanto a Torino erano incominciate le prove con gli artisti tutti presenti: mancava solo Gigli. Passa un giorno, ne passa un altro, Gigli non arriva. Mascagni offeso per questo ritardo, sospende le prove con gli artisti e con l'orchestra e non vuole più dirigere l'opera. Si chiude in Albergo e non vuole vedere più nessuno.
Dopo due giorni arriva Gigli. La Direzione della Radio lo mise al corrente di quanto era accaduto e Gigli disse: "Non vi preoccupate, vado io stesso da Mascagni". Ma il Maestro non lo volle ricevere. Le cose si mettevano veramente male. I dirigenti della Radio andarono da Mascagni e tanto fecero e tanto dissero che convinsero il Maestro a riprendere le prove.
L'incontro tra Mascagni e Gigli non fu certo amichevole. Con una faccia accigliata di persona offesa, Mascagni gli disse che tardando, mentre tutti gli artisti erano stati puntualissimi, aveva mancato di rispetto ai suoi colleghi e a lui; da lei non mi sarei mai aspettato una cosa simile. Non creda, perchè lei è arrivato alla celebrità di potersi permettere certe sconvenienze. Ma Gigli, calmo, disse che se aveva tardato, non era stato per mancanza di rispetto a lei Maestro e ai miei colleghi, ma per studiare e approfondire meglio l'opera e presentarmi degno di tanto incarico, verso lei che è l'Autore. Mascagni: "Bella scusa! chi sà dove ha studiato e con quale cane di maestro, un maestro che non conoscerà nemmeno le mie più piccole intenzioni: ed ora devo io, in poco tempo, cercare di mettere a posto l'opera". Gigli sempre calmo rispose: "Ma io l'ho studiata a Roma col maestro Ricci che conosce molto bene le sue opere". La facciata di Mascagni si rassenerò: "Ma se io sapevo che l'opera la studiava col maestro Ricci, allora poteva venire pure alla prova generale".
(da: Luigi Ricci - "Ricordando Beniamino Gigli e il suo tempo" - Roma, 14 novembre 1977)
Ascolti musicali:
1. Gigli canta "Ah! Ritrovarla nella sua capanna", dall'Atto III di "Lodoletta" di Mascagni
2. Gigli canta la Canzone del Falco "Non colombelle!... Ah ! Tu ch'odi lo mio grido", dall'Atto II di "Isabeau" di Mascagni
3. Gigli canta "E passerà la viva creatura", dall'Atto II di "Isabeau" di Mascagni
4. Gigli canta "Apri la tua finestra", dall'Atto I di "Iris" di Mascagni
Opere complete di Mascagni cantate da Beniamino Gigli:
"Cavalleria rusticana" (diretta da Mascagni stesso - aprile 1940)
"L'amico Fritz" (con Rina Gigli, diretta da Gianandrea Gavazzeni - Napoli, 7 febbraio 1951)
Beniamino Gigli nel ruolo di Mario Cavaradossi, nella Tosca di Puccini. Dedica alla madre - Milano, 9-5-1918
BENIAMINO GIGLI E GIACOMO PUCCINI
Mentre ero studente nel "Liceo di Santa Cecilia" in Roma, frequentavo i Teatri della Capitale durante le stagioni liriche assistendo, per studio, alle prove e alle esecuzioni. Al Teatro Costanzi, Emma Carelli, nelle sue giornate nere, pur avendo avuto da lei il permesso, mi cacciava dal palcoscenico, ma io dopo pochi minuti rientravo e se mi vedeva, non mi diceva più nulla. Una donna strana, nevrastenica, autoritaria, ma buona: aveva cuore. Conobbi il Maestro Puccini nel marzo del 1913 al Teatro Costanzi, durante le prove della ripresa della sua nuova opera "La Fanciulla del West" dopo trionfali rappresentazioni dirette dal Maestro Toscanini, date nel 1911 durante "L'Esposizione internazionale per il Cinquantenario del Regno d'Italia con Roma Capitale". Assistere alle prove presente Puccini era un piacere. Il Maestro aveva una sensibilità acutissima nei riguardi della varietà dei movimenti, dei segni agogici, alla interpretazione delle indicazioni riguardanti i coloriti. La dedizione degli artisti la voleva totale. Esatta tonalità, esattezza del colorito, efficacia interpretazione della voce umana, ai gesti, al nitore della pronuncia, all'interpretazione del personaggio. Era incontentabile. Lo rividi nel febbraio del 1914, per una esecuzione di "Bohème", sempre al Teatro Costanzi. Nel gennaio del 1918 (avevo già cominciato a lavorare in palcoscenico 'gratis', così allora s'incominciava a lavorare per far pratica) ci fu una esecuzione di "Rondine" presente l'Autore. E' con la Rondine che io ho iniziato la collaborazione col Maestro Puccini, che doveva durare ininterrottamente per circa sette anni. Il tenore per quest'opera doveva essere Carlo Hachett, ma all'ultimo momento si ammala. Era compromessa l'andata in scena. Il tenore Pertile, che aveva intepretato l'opera al Comunale di Bologna, era impegnatissimo al Teatro alla Scala. Come fare? Beniamino Gigli che cantava "Lodoletta" e doveva cantare in seguito "Gioconda", "Mefistofele" e "Tosca", lo interpellarono. Gigli rifiutò e si comprende benissimo la ragione del suo rifiuto: opera non facile e pochi giorni per studiarla. Tuttavia mostrò il desiderio che io gli suonassi e accennassi l'opera al piano. Gli piacque, lo tratteneva soltanto la ristrettezza del tempo. Il Maestro Puccini, Emma Carelli e in buona parte anche io, data la grande amicizia che mi legava a Gigli, riuscimmo a vincere la sua riluttanza. Ci ponemmo al lavoro. Dopo due giorni d'intenso e profondo studio, sapendo come il Maestro Puccini era esigente e incontentabile per l'interpretazione delle sue opere, andai dalla signora Carelli e le dissi che sarebbe stato utile che il Maestro assistesse almeno una o due volte alle lezioni per darci la sua interpretazione, le sue desiderata, perchè io non avevo mai sentito l'opera. E così fu. Per tre giorni l'Autore di Bohème, venne durante le lezioni. Eravamo nel salone delle prove al Costanzi: Puccini, Gigli ed io. Poi venne il Maestro Panizza che dirigeva l'opera. Il Puccini c'insegnò l'interpretazione del personaggio, gli effetti vocali, i rallentati, affrettati ecc. In certe pagine non c'era un quarto uguale all'altro, e tutte queste cose sullo spartito non erano scritte. Io mi permisi di dire al Maestro: "Perchè non ha scritto sullo spartito tutte queste splendide interpretazioni?" Mi rispose: "Oh come si può scrivere tutto questo?" In una settimana Beniamino fu pronto. Egli sapeva non soltanto cantare quest'opera con quella sua gola d'oro, ma la sapeva interpretare con arte sovrana, grazie alle prove avute con l'Autore. Puccini ne fu entusiasta. Gigli insieme alla insuperabile protagonista Gilda Dalla Rizza, la prima interprete dell'opera a Montecarlo, ebbe un successo personale.
Forse a molti è sconosciuto, se non a tutti, che il primo Principe Ignoto, ossia Calaf, nell'opera Turandot di Giacomo Puccini, doveva essere Beniamino Gigli. Ma andiamo per ordine. Il 1° settembre 1924, a due mesi dalla morte, Puccini scriveva ai suoi collaboratori librettisti: "Oggi riprendo a scrivere. Ho passato crisi tremende - anche per la salute. Quel mio mal di gola che mi tormenta dal marzo pareva cosa grave. Ora sto meglio e poi ho la sicurezza che è cosa artritica e che curandomi finirò a star meglio. Ma ho passato giorni tristissimi. Venne Clausetti ieri e dissi il sì per la Scala". E il 7 settembre, sempre agli stessi collaboratori: "E' partito or ora di qui Toscanini. Siamo in perfetto e simpatico accordo e finalmente respiro. Così è finito l'incubo che sovrasta fin dall'aprile". Puccini, con Clausetti della Casa Ricordi e Toscanini, si erano messi d'accordo per il luogo, l'epoca e gl'interpreti, per l'andata in scena della sua Turandot, ormai al termine. Beniamino Gigli, nel medesimo mese, durante la permanenza a San Francisco, riceve un telegramma di Giacomo Puccini: "Desidererei avervi primo interprete di Turandot, che sarà data alla Scala in aprile. Sicuro che farete ammirabile creazione confido nella vostra preziosa collaborazione. Telegrafatemi alla Scala sulla possibilità. Saluti". Gigli era già impegnato con Gatti Casazza, per interpretare la nuova opera di Puccini che sarebbe andata in scena nella futura stagione al Metropolitan, ma l'Autore, contrariamente a quanto si era detto e stampato, aveva preferito Milano, la Scala e Toscanini. Beniamino così rispose: "Terminando miei impegni in aprile potrò essere a Milano ai primi di maggio per interpretare Turandot. Grato intanto per preferenza ed onore altissimo affidatomi. Saluti". Ma improvvisamente, il male alla gola peggiorò con violenza. Il 4 novembre dello stesso anno, Puccini partì per Bruxelles. Passarono giorni di strazio. Poi l'operazione, e il 29, per una crisi cardiaca sopraggiunta dopo la terribile applicazione alla gola di sette grossi spilli permeati di radio, l'anima di Giacomo Puccini passò all'eternità. E l'opera Turandot? Nel 1924, sino alla morte di Liù, anzi sino all'uscita del corteo che trasportava la piccola salma, era ultimata nella composizione e nella strumentazione, ed era già stata consegnata agli Editori. Da quel punto sino al finale, Puccini aveva riempito tra appunti, abbozzi, stesure, 36 fogli che egli portò con sè a Bruxelles ove sperava di terminare l'interrotto lavoro appena il suo male gliel'avesse permesso. Fatica che non avrebbe richiesto più di una ventina di giorni. Ma il destino ha voluto che Puccini chiudesse gli occhi per sempre insieme alla sua piccola Liù, e l'opera rimase incompiuta. Fu ultimata dal maestro Franco Alfano sugli appunti lasciati da Puccini e fu rappresentata alla Scala la sera del 25 aprile 1926. Beniamino Gigli, alla nuova richiesta fatta dalla direzione della Scala, per essere il primo interprete dell'opera, non potè purtroppo aderire. Non era libero e con grande rammarico non potè liberarsi per tale epoca. Era destino che Gigli non doveva essere il primo interprete di Calaf come era stato vivo desiderio del Grande scomparso, Giacomo Puccini. Turandot ebbe un grande successo e cominciò subito il giro trionfale nel mondo, e il nostro Beniamino, a diecine e diecine di richieste per interpretare l'opera, ha sempre rifiutato e non l'ha mai voluta cantare. Diceva: "Non sono stato il primo Calaf, non voglio essere l'ultimo". Ha eseguito solo in concerto e si può dire quasi alla fine della sua luminosa carriera artistica, la romanza del 3° atto: "Nessun dorma". Questo disco Beniamino lo ha inciso a 60 anni!
(da: Luigi Ricci - "Ricordando Beniamino Gigli e il suo tempo" - Roma, 14 novembre 1977)
Ascolti musicali:
1. Gigli canta "Donna non vidi mai", dall'Atto I di "Manon Lescaut" di Puccini
2. Gigli canta "Che gelida manina", dall'Atto I di "La bohème" di Puccini
3. Gigli canta "E lucevan le stelle", dall'Atto III di "Tosca" di Puccini
4. Gigli canta "Addio fiorito asil", dall'Atto III di "Madama Butterfly" di Puccini
5. Gigli canta "Ch'ella mi creda libero e lontano", dall'Atto III di "La fanciulla del west" di Puccini
6. Gigli canta "Dimmi che vuoi seguirmi alla mia casa", dall'Atto III de "La rondine" di Puccini
7. Gigli canta "Nessun dorma", dall'Atto III di "Turandot" di Puccini
Nel dicembre del 1932 sulla rivista musicale "THE ETUDE MUSIC MAGAZINE" apparve un articolo intitolato "The Art of Singing - A conference with the internationally famous Operatic Tenor BENIAMINO GIGLI". Riportiamo i passi più significativi in lingua inglese, con traduzione italiana di Mattia Peli. Buona lettura e riflessione!
1. Un saggio suggerimento di Beniamino Gigli, rivolto a chi vuole avvicinarsi allo studio del canto :
«If I were to counsel a beginner - one who has never studied at all, but who hopes and believes he has a voice - I should say, "Have your voice tested by an expert musical judge who is also a disinterested party". Most teachers, I believe, are fair and honest; if they think you cannot sing, they will tell you so. It may hurt, but they will give you the truth. But we have not yet reached Utopia, and it is not beyond reason that there exists here and there a teacher who is less interested in your voice than in your lesson fees. If you fall into the hands of such a one, you will suffer doubly. Therefore, seek the advice of someone who is a teacher of known integrity, a critic, an artist, one who will listen to you impartially and will advise you honestly, both as to your voice and your musical ability.»
Se dovessi dare un consiglio a un principiante - qualcuno che non ha mai studiato prima canto, ma che spera e crede di avere una voce - direi, "Fatevi esaminare la voce da un esperto intenditore musicale che sia anche un partito disinteressato". Molti insegnanti, credo, sono imparziali ed onesti; se pensano che non potete cantare, ve lo diranno. Può far male, ma vi diranno la verità. Ma non siamo ancora giunti al mondo dell'utopia, e non è sragionevole pensare che si trovi qua e là un insegnante che è meno interessato alla vostra voce che al prezzo delle lezioni. Se cadrete nelle mani di una persona del genere, soffrirete doppiamente. Pertanto, cercate il consiglio di qualcuno che sia un insegnante dalla riconosciuta integrità, un critico, un artista, uno che vi ascolterà in modo imparziale e vi consiglierà onestamente, sia per quanto riguarda la vostra voce che la vostra abilità musicale.
(da: "The Art of Singing" - A conference with the internationally famous Operatic Tenor BENIAMINO GIGLI, secured expressly for The Etude Music Magazine by R. H. Wollstein - December 1932)
2. Beniamino Gigli sull'importanza di acquisire un corretto posizionamento della voce, di ricercare la pura e ricca rotondità di suono, di "non forzare mai" e di studiare con intelligenza e parsimonia lungo il corso della carriera :
«The art of singing means this: to seek out the soul of the music, to put the imprint of your own soul upon it, and to send it out, through your voice, into the souls of other people. I stress the soul more than the voice because to me the spiritual elements of singing are of greater importance. Please do not deduce from this that the voice is unimportant! Certainly not! But—it is important as a highly perfected instrument for conveying spiritual meaning. Always the significance of the music must come first. The voice! I wish I could give you some very definite rules that would make it easy for everybody to sing well. But this, alas, I cannot do. There is one thing, though, to which I would urge every student of singing to give special attention—that is, proper voice placement. Of course the student cannot attend to this by himself, through his own efforts. This requires the expert care of an able teacher. Once the voice is correctly placed, though, the greatest worry is over. (...) If your singing feels like hard physical work, your method is probably wrong. (...) The tone must come pouring through, like wind through a reed. (...) perhaps, there is no system, no set counsels which can help you as much as your own personal sensation of good singing. It is the same with my practicing. I cannot honestly tell you that I practice so many minutes of scales, so many of "vocalises", so many of trills, because I do not do this—to-day. I had to, of course, when I was a student, but my teachers directed my work then. To-day I practice simply what happen to be at work upon. I select passages and cadenzas from my roles or my songs and work at those. But not too much. And "never" simply for the sake of practicing. That is not intelligent. I practice for a definite purpose. Is there a florid, difficult cadenza to be mastered? Good! I work on it—minutes or hours, as the work demands. Never by the clock. I work on "legati, crescendi", on all sorts of different effects. I work to master them thoroughly—not once, for a performance, but permanently, so that they are forever a part of me, to be counted on always. That, then, is enough. On the day of a performance I do not sing at all before going to the stage. Early in the morning, when I wake up, I try my voice. I hum a few high tones, easily, softly. If they are good, then I do not think any more about my singing. (...) There are no special "rules for tenors". There is only good, correct singing. Once your voice is properly placed, sing with natural, unforced emission. Strive for "quality" of tone, not "quantity". Strive, not for "more voice" than someone else, not for "bigger" or "higher" tones, but for that pure, rich roundness of tone which alone is worthy to express the soul of music. "Never" force your voice—for any reason. The first suspicion of forcing means the end of good singing. Forcing makes you scream! It hurts the voice and robs the diction of its full sonority. (...) The greatest goal, to me, is not to be a singer, but to sing. Do you see the difference? If you have your eyes on The Singer, you think in term of yourself—of glory, money, admiration, fame. If you have your eyes on Singing, you think only of music. (...) Above all, cultivate your "soul". If God has given you a voice, use it to sound forth the music of your own soul. Only then can you reach the souls of others—which alone can make for great singing.»
L'arte del canto significa questo: ricercare l'anima della musica, mettervi sopra l'impronta della propria anima, ed indirizzarla, attraverso la voce, alle anime di altre persone. Sottolineo l'anima più che la voce perché per me gli elementi spirituali del canto sono della massima importanza. Vi prego di non dedurre da ciò che la voce non sia importante! Certamente no! Ma—è importante quale strumento altamente perfezionato per trasmettere un significato spirituale. Il significato della musica deve sempre venire prima. La voce! Mi piacerebbe potervi dare qualche regola molto precisa che renda semplice per tutti cantare bene. Ma questo, ahimè, non mi è possibile. C'è una cosa, però, alla quale vorrei esortare ogni studente di canto di prestare particolare attenzione, cioè il corretto posizionamento della voce. Naturalmente lo studente non può occuparsi di questo da solo, con i propri sforzi. Ciò richiede la cura esperta di un insegnante capace. Una volta che, però, la voce viene posizionata correttamente, la più grande preoccupazione è passata. (...) Se il vostro canto sembra un duro lavoro fisico, probabilmente è il metodo che è sbagliato. (...) Il suono deve scorrere liberamente, come l'aria attraverso una canna. (...) forse, non c'è sistema, consiglio prestabilito che possa aiutarvi tanto quanto la personale sensazione di cantare bene. E' la medesima cosa quando mi esercito. Non posso onestamente dire d'esercitarmi facendo tanti minuti di scale, di "vocalizzi", di trilli, perché non lo faccio—oggi. Ho dovuto farlo, ovviamente, quando ero studente, ma in quel periodo i miei insegnanti dirigevano il mio studio. Oggi mi esercito semplicemente su ciò che mi viene richiesto di cantare. Seleziono passaggi e cadenze dai miei ruoli o dai miei canti e lavoro su quelli. Ma non troppo. E "mai" semplicemente per il gusto d'esercitarsi: non è una cosa intelligente. Mi esercito per uno scopo definito. C'è una cadenza fiorita difficile da padroneggiare? Bene! Vi lavoro sopra - minuti o ore, in base a quel che richiede lo studio. Mai coll'orologio. Lavoro su "legati, crescendi", su tutti i tipi di effetti diversi. Studio per dominarli a fondo - non una volta, per un'esecuzione, ma in modo permanente, di modo che siano per sempre parte di me, ed io possa sempre contare su di essi. In tal caso, basta così. Il giorno in cui mi esibisco non canto affatto prima di salire sul palcoscenico. Di mattina presto, quando mi sveglio, provo la voce. Canticchio dei suoni acuti, facilmente, con morbidezza. Se vanno bene, allora non penso più al mio canto. (...) Non vi sono particolari "regole per i tenori". Esiste solo un corretto buon canto. Una volta che la voce è posizionata in modo giusto, cantate con emissione naturale senza forzare. Ambite alla "qualità" del suono, non alla "quantità". Ambite, non ad avere "più voce" di qualcun altro, non a suoni "più grandi" o "più acuti", bensì, a quella pura, ricca rotondità di suoni che solamente è degna d'esprimere l'anima della musica. "Mai" forzare la voce—per nessuna ragione. Il primo sospetto di forzatura significa la fine del buon canto. Forzare vi fa gridare! Danneggia la voce e priva la dizione della sua piena sonorità. (...) L'obiettivo più grande, per me, non è di essere un cantante, ma di cantare. Vedete la differenza? Se rivolgete lo sguardo al Cantante, pensate in funzione di voi stessi—della gloria, del denaro, dell'ammirazione, della fama. Se ponete lo sguardo sul Canto, penserete solo alla musica. (...) Soprattutto, coltivate la vostra "anima". Se Dio vi ha dato una voce, usatela per farla suonare come la musica della vostra anima. Solo allora raggiungerete le anime degli altri—questo solamente può generare del grande canto.
(da: "The Art of Singing" - A conference with the internationally famous Operatic Tenor BENIAMINO GIGLI, secured expressly for The Etude Music Magazine by R. H. Wollstein - December 1932)
3. Lo studio dei ruoli operistici, dalla parte storica ed attoriale a quella musicale, come testimoniato da Beniamino Gigli :
«I prefer singing operatic roles to concerts of songs. There is more color, more variety, more psychological responsability in creating the illusion of another person. Also, there is more work—but I love my work! When I learn new roles, I study the music last. First I learn the character, learn to know it as a real person, a friend. I study the nuances of action and intention of the man himself, and I study the manners of the period in which he lived, the country to which he belonged. I take him out walking with me, and converse with him. I say to myself, "Ah! He would not lift his hand so; he cannot be too wordly for he is a warrior! He would not rush in his walk; he cannot be too brisk for he is in love!" Then, when the man is part of me, I learn the music which expresses him. It is easier for me to color the music, in this way, I spend many months working on my roles. Learning music is easy for me. I read notes as I do printing, and I am singing all the time, sometimes out loud, with my voice, sometimes quietly, in my head. But always, at every moment of the day, I am singing!»
Preferisco cantare ruoli d'opera a concerti d'arie. C'è più colore, più varietà, più responsabilità psicologica nel creare l'illusione di un'altra persona. Inoltre, c'è più lavoro, ma io amo il mio lavoro! Quando imparo nuovi ruoli, studio la musica per ultima. Per prima cosa studio il personaggio, imparo a conoscerlo come una persona reale, un amico. Studio le sfumature d'azione e d'intenzione dell'uomo medesimo, e studio le maniere del periodo in cui visse, il paese a cui apparteneva. Lo porto fuori camminando con me e converso con lui. Dico a me stesso: "Ah, non alzerebbe la sua mano così; non può essere di troppo parole perché è un guerriero! Non si precipiterebbe nel camminare; non può essere troppo brusco perché è innamorato!" Poi, quando l'uomo è parte di me, studio la musica che esprime il personaggio. Mi è più facile colorare la musica, in questo modo, trascorro molti mesi lavorando sui miei ruoli. Imparare la musica è facile per me. Leggo le note come scrivere in stampatello, e canto sempre, a volte ad alta voce, con la mia voce, a volte in silenzio, nella mia testa. Ma sempre, in ogni momento della giornata, sto cantando!
(da: "The Art of Singing" - A conference with the internationally famous Operatic Tenor BENIAMINO GIGLI, secured expressly for The Etude Music Magazine by R. H. Wollstein - December 1932)