sabato 12 giugno 2021

Ricordando Beniamino Gigli e il suo tempo - di Luigi Ricci (1977)

Gigli accompagnato al pianoforte dal Maestro Luigi Ricci durante una tournée all'estero

RICORDANDO BENIAMINO GIGLI E IL SUO TEMPO - di Luigi Ricci (1977)

Sono passati venti anni dalla scomparsa di Beniamino Gigli ed è un dovere ricordare questo grande artista che ha tenuto per circa quarant'anni alta nel mondo l'arte lirica italiana.
Chiedo venia se io sarò sempre presente, ma d'altronde ho vissuto quarantasette anni vicino a Gigli da quando nel 1911 accompagnai il primo vocalizzo nella scuola del grande Cotogni al Liceo di Santa Cecilia, e non posso modificare alcunchè, per non togliere la freschezza della verità.

Ricordare Gigli? Domenico Alaleona che voleva occuparsi dell'arte e della vita del suo conterraneo Beniamino Gigli, così scriveva:
"Tale è l'umanità, la semplicità, la bontà ch'egli ha sempre conservato in mezzo ai fasti e agli onori, che si può ben parlare, una volta tanto, di un cantante, rimanendo nella stessa atmosfera di serenità e di elevatezza che si respira parlando di un poeta, di un pittore, di un musicista, di uno scienziato".
Io non narrerò qui la vita di Beniamino Gigli, no: narrerò solo qualche episodio e aneddoto presi qua, là, senza legame alcuno della sua vita artistica. Dico qualche, perchè se dovessi narrarli tutti, dovrei scrivere dieci libri, ma li narrerò con cognizione di causa perchè li ho vissuti insieme al grande artista e grande amico, allo sfolgorante "Cantore del popolo", come fu chiamato, dall'ugola e dal cuore d'oro.

Il debutto di Beniamino Gigli a Roma, fu al Teatro Costanzi il 26 dicembre 1916 con l'opera "Mefistofele".
Chiamato dalla dinamica signora Emma Carelli, ebbe a compagni la signora Vallin e il giovane basso Giulio Cirino. Dirigeva il Maestro Edoardo Vitale. Al pubblico romano era già noto e ben voluto Gigli fin dall'epoca in cui era studente al Liceo di Santa Cecilia. Oltre ai saggi di classe durante gli anni di studio, aveva cantato in ricevimenti privati e in concerti di beneficenza sotto lo pseudonimo di Mino Rota, per eludere il divieto di Santa Cecilia, e si era guadagnato l'ammirazione generale per la bellezza e purezza della sua voce. Però in occasione di uno spettacolo al Costanzi è ben altra cosa che cantare in salotti o in concerti. Era la prima volta che affrontava il pubblico romano dalla scena, ma lo stuporeinvase la platea fin da quando egli attaccò con la sua mezza voce paradisiaca: "Al soave raggiar di primavera". La sala fu inondata di ineffabile dolcezza. Il pubblico, di primo acchito fu conquistato. L'arioso: "Dai campi, dai prati", fu accolto da acclamazioni e il successo aumentò quadro per quadro, e quando giunse alla romanza dell'Epilogo: "Giunto sul passo estremo", cantata in stile e con grande sentimento, il pubblico scoppiò in un fragoroso applauso. Beniamino si accorse di aver vinto una grande battaglia con il pubblico romano, ma la critica?.....Eh!..... la critica si mostrò benigna e severa: fu in certo qual modo favorevole pur rilevando manchevolezze e difetti. De Renzis sul "Messaggero" scrisse: "Il tenore Gigli quando canterà con più animo e minore preoccupazione, quando avrà imparato a truccarsi con miglior gusto, il suo successo sarà schietto; egli potrà porsi in prima linea fra i tenori lirici della nostra scena".
Alberto Gasco rilevò che cantò meglio nei primi atti dell'opera che nell'ultimo.
Adriano Belli sul "Corriere d'Italia": "Una grande sorpresa per tutti costituì il debutto tra noi del tenore Beniamino Gigli. Egli ha voce dal timbro gradevole, estesa, intonata; la sua mezza voce e alcune intenzioni ricordano l'arte di cantanti sommi. Non è ancora artista completo, ma la materia prima c'è; spetta ora a lui migliorarla e sapersene servire".

Beniamino mi disse: "Alcuni critici non sono stati soddisfatti? Lo saranno l'anno prossimo".

Mefistofele - "Dai campi, dai prati" (1918)


Il 30 aprile 1917 andava in scena a Roma al Teatro Costanzi, la nuova opera di Pietro Mascagni, "Lodoletta". Con l'Autore sul podio e con una mirabile protagonista come Rosina Storchio, ci voleva un tenore degno di stare accanto a tanta artista e che sapesse interpretare l'opera mascagnana, che doveva recare, secondo le parole dell'Autore, all'umanità inasprita dalla guerra, un poco di amore e di pace. Un conforto, un sollievo, e dal lato artistico, un ritorno all'antico: ridare alla voce tutta la sua supremazia. Lavoro puramente italiano e di voluta semplicità. Questa supremazia data alla voce umana sull'orchestra, la melodia fresca, ispirata, piena di sentimento, richiedevano in verità artisti eccezionali. La Storchio, artista mirabile, era a posto, ma il tenore?.... La ricerca fu lunga e laboriosa. Mascagni ne sentì una trentina, ma... li scartò tutti. Ad Emma Carelli venne una geniale idea: "Maestro, perchè non prendiamo Beniamino Gigli?" - O Emma, ma lei scherza? - rispose Mascagni - il Gigli ha una bellissima voce, ma una voce da evirato, ed io ho bisogno di una voce maschia, robusta. Si ricordi che Flammen ha circa quaranta anni -. Ma ad Emma Carelli, donna lungimirante, quasi avesse un chiodo fisso in testa, andava dicendo: "L'unico tenore che può cantare Lodoletta è Beniamino Gigli". Ma niente da fare con Mascagni.
Ed eccoli di nuovo alla ricerca del tenore. Mancavano pochi giorni all'andata in scena di "Lodoletta" e l'interprete di Flammen?.....non si trovava per le esigenze dell'Autore. Quindi continui rinvii dell'andata in scena e sembrava che l'opera dovesse essere rimandata all'anno prossimo.
Finalmente la scelta cadde su il tenore Giuseppe Campioni, ottimo interprete di Isabeau dalla voce maschia, robusta come la desiderava Mascagni, ma quando si trattò di cantare a mezza voce ed eseguire le note acute piano, filate, il Campioni mostrò di trovarsi a disagio, ma Mascagni, per sostenere il suo punto di vista, era contento, e finalmente, con un ritardo notevole, l'opera fu varata.
L'esecuzione fu eccellente per parte dell'orchestra e di Rosina Storchio, protagonista insuperabile, ma la parte del tenore in molti punti affidata alla mezza voce, fusciupata dal Campioni e non riuscì a mettere in evidenza le bellezze di alcune pagine, e rendere con efficacia la sua parte, specialmente alla chiusa del primo atto. Con tutto ciò l'opera ebbe un grandissimo successo. Se ne ebbero varie repliche tutte esaurite. Ma Emma Carelli non poteva togliersi il chiodo e seguitava a dire: "L'unico tenore che può cantare Lodoletta, è Beniamino Gigli. Ah! ci fosse stato lui!".
In una replica dell'opera, un abbonato, mentre Mascagni si recava al podio, gli disse: "Povero uccellino (alludeva a Lodoletta) una di queste sere, questo cane se lo mangerà in un boccone!".
Mascagni, dopo qualche anno, ebbe a dire: "L'interprete di Flammen della Lodoletta a Roma? Fu un cane di tenore!".
Subito dopo le rappresentazioni del Costanzi, s'affrettò a godersi "Lodoletta". Mascagni, ricordando le parole della Carelli e l'insuccesso del Campioni, segretamente, impose al Comitato che organizzava la stagione, il tenore Beniamino Gigli: e Gigli fu scritturato. Ma Beniamino in principio era riluttante e non voleva accettare. Si ricordava che Mascagni non l'aveva voluto per la prima esecuzione, ma poi, data la sua nobile anima, accettò e l'opera la studiò con me. Io conoscevo bene, per essere stato presente a tutte le prove e le recite, l'interpretazione, i tempi precisi di Mascagni, insomma l'avevo nel sangue, e devo dire che Gigli studiò l'opera con grande impegno, con grande amore; l'opera sembrava scritta per lui, il suo cuore, il suo bel canto, lo trasfuse tutto nelle belle e pure melodie mascagnane, ricavandone effetti con soavissima mezza voce e mise tanto entusiasmo nello studio, che dopo una settimana, l'opera era pronta. Successo strepitoso.

Vi leggerò qualche brano di critica falciato da inutili particolari.

LA GAZZETTA LIVORNESE
"Beniamino Gigli ha il dono prezioso di una voce freschissima, simpaticissima, che gli sgorga spontanea, senza mai l'ombra di uno sforzo. Ha delle mezze voci di una soavità deliziosa. E' difficile trovare un tenore che possa unire alla robustezza della voce anche la dolcezza delle mezze voci, eppure Gigli riunisce questi due pregi. Nel finale del primo atto fu di una finezza straordinaria, quanto espressivo ed appassionato nel secondo e specialmente nella romanza del terzo".

IL CORRIERE DI LIVORNO
"Beniamino Gigli in quest'opera che è tutto canto, le sue virtù ebbero pieno rilievo; gustammo il puro timbro della sua voce, la dolcezza della sua mezza voce, il vero equilibrio con cui disegnò e visse la figura di Flammen".

E ancora, nella sua serata d'onore: LA GAZZETTA LIVORNESE
"Gigli nella parte di Flammen ha da lottare con difficoltà d'ogni sorta. Nel primo atto sono necessarie le dolcezze di una mezza voce soavissima: nel secondo una grande arte nel fraseggiare e nel terzo passione e vigore; ma Gigli in tutto riesce perfetto e sa raggiungere gli effetti vigorosi nei momenti in cui la passione deve traboccare, come sa piegarsi alle più garbate sfumature".
Insomma Gigli cantò le melodie mascagnane col meglio della sua voce e con tutta la passione della sua anima, e superò ogni più ardita previsione. Mascagni non solo si ricrebbe, ma in seguito ebbe a dire: "Il vero debutto e la vera trionfale carriera artistica di Beniamino Gigli, cominciò con la mia Lodoletta, a Livorno".
Emma Carelli che per curiosità andò ad ascoltare l'opera, disse all'Autore: "Maestro, avevo ragione di affermare che l'unico tenore che poteva cantare Lodoletta era Gigli?".
L'opera sempre con l'insuperabile interprete, fece il giro di molti teatri, ovunque riportando enormi successi.

Sui giornali di Roma viene annunciato: "Mentre la Scala di Milano rimarrà chiusa, al nostro Costanzi avremo la consueta grande stagione 1917-1918. Sarà inaugurata la sera del 26 dicembre con il Falstaff. Altre opere di repertorio, completeranno il cartellone".
Mentre la coraggiosa Emma Carelli organizzava questa stagione di Carnevale-Quaresima in momenti veramente difficili, causa la guerra, pensò: "Lodoletta ha trionfato a Roma e trionfa da per tutto. Bisogna battere il ferro quando è caldo, e per levarmi il chiodo ancora conficcato in capo, apro la stagione con Lodoletta e con Gigli". E così fece. Fu un trionfo. Chi ebbe la ventura di ascoltarlo non dimenticò in fretta la Ninna Nanna del primo atto "Bimba, non piangere" cantata con una mezza voce dolcissima, soffice, trasparente, e la frase, scoglio passato, presente e futuro, per i tenori: "Una nuvola d'argento" con salto d'ottava che va dal La basso al La acuto, preso pianissimo.

Ecco qualche critica:

Alberto Gasco su la TRIBUNA:
"Beniamino Gigli ha conquistato l'alloro dei vincitori nella scena finale del primo atto, e nella romanza dell'ultimo".

De Renzis sul MESSAGGERO:
"Beniamino Gigli alla parte di Flammen, così ricca di sentimento, ha dato un risalto che era assolutamente mancato nella prima edizione dell'opera".

Nicolino d'Atri sul GIORNALE D'ITALIA:
"Abbiamo iersera avuto la prima volta un'impressione esatta ed efficace - e non è nostra la colpa del ritardo - di quel che sia, in quest'opera, la parte del tenore. Tutti in teatro se ne rallegravano e ne attribuivano il merito a chi ne aveva diritto: al Gigli".

Adriano Belli sul CORRIERE D'ITALIA:
"La prima esecuzione romana non fu perfetta. Apparve assolutamente manchevole per parte del tenore, il quale non riuscì a mettere in evidenza le indiscutibili bellezze di alcune pagine. Bellezze che finalmente iersera apparvero in piena luce per merito di un giovane artista, Beniamino Gigli. Il Gigli ha infatti mezzi eccezionali, fluidità di emissione, calore comunicativo, accento vibrante, voce dolce e nello stesso tempo robusta che egli sa modulare con arte squisita e piegare ad ogni esigenza della parte. Il finale del primo atto fu detto da lui come meglio non si potrebbe desiderare. Il secondo atto che nella prima edizione apparve scialbo e privo d'interesse, venne eseguito con vivo compiacimento per il godimento che si provava nell'ascoltare il Gigli, il quale poi nella romanza del terzo atto riuscì a trascinare l'uditorio al più schietto entusiasmo".

Lodoletta - "Ah! ritrovarla nella sua capanna" (1918)


Mentre ero studente nel "Liceo di Santa Cecilia" in Roma, frequentavo i Teatri della Capitale durante le stagioni liriche assistendo, per studio, alle prove e alle esecuzioni.
Al Teatro Costanzi, Emma Carelli, nelle sue giornate nere, pur avendo avuto da lei il permesso, mi cacciava dal palcoscenico, ma io dopo pochi minuti rientravo e se mi vedeva, non mi diceva più nulla. Una donna strana, nevrastenica, autoritaria, ma buona: aveva cuore.
Conobbi il Maestro Puccini nel marzo del 1913 al Teatro Costanzi, durante le prove della ripresa della sua nuova opera "La Fanciulla del West" dopo trionfali rappresentazioni dirette dal Maestro Toscanini, date nel 1911 durante "L'Esposizione internazionale per il Cinquantenario del Regno d'Italia con Roma Capitale".
Assistere alle prove presente Puccini era un piacere. Il Maestro aveva una sensibilità acutissima nei riguardi della varietà dei movimenti, dei segni agogici, alla interpretazione delle indicazioni riguardanti i coloriti. La dedizione degli artisti la voleva totale. Esatta tonalità, esattezza del colorito, efficacia interpretazione della voce umana, ai gesti, al nitore della pronuncia, all'interpretazione del personaggio. Era incontentabile.
Lo rividi nel febbraio del 1914, per una esecuzione di "Bohème", sempre al Teatro Costanzi.
Nel gennaio del 1918 (avevo già cominciato a lavorare in palcoscenico 'gratis', così allora s'incominciava a lavorare per far pratica) ci fu una esecuzione di "Rondine" presente l'Autore. E' con la Rondine che io ho iniziato la collaborazione col Maestro Puccini, che doveva durare ininterrottamente per circa sette anni.
Il tenore per quest'opera doveva essere Carlo Hachett, ma all'ultimo momento si ammala. Era compromessa l'andata in scena. Il tenore Pertile, che aveva intepretato l'opera al Comunale di Bologna, era impegnatissimo al Teatro alla Scala. Come fare? Beniamino Gigli che cantava "Lodoletta" e doveva cantare in seguito "Gioconda", "Mefistofele" e "Tosca", lo interpellarono. Gigli rifiutò e si comprende benissimo la ragione del suo rifiuto: opera non facile e pochi giorni per studiarla. Tuttavia mostrò il desiderio che io gli suonassi e accennassi l'opera al piano. Gli piacque, lo tratteneva soltanto la ristrettezza del tempo. Il Maestro Puccini, Emma Carelli e in buona parte anche io, data la grande amicizia che mi legava a Gigli, riuscimmo a vincere la sua riluttanza. Ci ponemmo al lavoro. Dopo due giorni d'intenso e profondo studio, sapendo come il Maestro Puccini era esigente e incontentabile per l'interpretazione delle sue opere, andai dalla signora Carelli e le dissi che sarebbe stato utile che il Maestro assistesse almeno una o due volte alle lezioni per darci la sua interpretazione, le sue desiderata, perchè io non avevo mai sentito l'opera. E così fu. Per tre giorni l'Autore di Bohème, venne durante le lezioni. Eravamo nel salone delle prove al Costanzi: Puccini, Gigli ed io. Poi venne il Maestro Panizza che dirigeva l'opera. Il Puccini c'insegnò l'interpretazione del personaggio, gli effetti vocali, i rallentati, affrettati ecc. In certe pagine non c'era un quarto uguale all'altro, e tutte queste cose sullo spartito non erano scritte. Io mi permisi di dire al Maestro: "Perchè non ha scritto sullo spartito tutte queste splendide interpretazioni?" Mi rispose: "Oh come si può scrivere tutto questo?"
In una settimana Beniamino fu pronto. Egli sapeva non soltanto cantare quest'opera con quella sua gola d'oro, ma la sapeva interpretare con arte sovrana, grazie alle prove avute con l'Autore. Puccini ne fu entusiasta. Gigli insieme alla insuperabile protagonista Gilda Dalla Rizza, la prima interprete dell'opera a Montecarlo, ebbe un successo personale.

Tosca - "E lucevan le stelle" (1921)


Al battesimo Sud-Americano, a Buenos Aires, del "Piccolo Marat" di Pietro Mascagni, che proveniva dall'esito clamoroso del Costanzi, il 2 maggio 1921, e che pareva rinnovasse i fasti di "Cavalleria rusticana", il protagonista fu Beniamino Gigli.
Quando Gigli accettò di cantare il "Piccolo Marat", venne da me, come il solito, a studiare l'opera. Io avevo preparato, al Costanzi, tutti gli artisti della prima esecuzione e, presente l'Autore, ho suonato al piano tutte le prove di concertazione. Che prove! Che entusiasmo in tutti gli artisti! Mascagni era grande e insegnava la sua speciale mascagnana interpretazione in modo mirabile. Tutti pendevano dalle sue labbra e tutti cercavano di assecondarlo nel modo migliore. Erano entusiasti dell'opera e vedevano delinearsi il grande successo. Anche le prove di scena furono fatte da Mascagni e il Maestro era contento, contentissimo. Bei tempi! Oramai le sue interpretazioni mi erano entrate nel sangue e ogni giorno che passava diventavo sempre più mascagnano.
Come tutte le prime mascagnane, anche a Buenos Aires, con un complesso veramente eccezionale, fu grandiosa. Mascagni da Livorno, scrisse al Gigli, magnifico interprete: "Il successo del Piccolo Marat mi ha dato una grande soddisfazione, e non soltanto per me, ma anche per lei. Vedo che con l'interpretazione del Piccolo Marat sale i gradini a quattro a quattro. Le sono gratissimo di avere accettata la creazione del Sanculotto e m'auguro che abbia un po' di affetto per il piccolo giovinetto, e me lo porti a spasso per la gloriosa sua corsa attraverso il mondo........ Le esprimo tutta la mia gratitudine e formo per lei e per il suo avvenire artistico i voti più affettuosi e più sinceri!". E quando Pietro Mascagni lo invitarono a dirigere la sua opera "Isabeau" all'EIAR, (oggi RAI) di Torino, volle per la parte di Folco, Beniamino Gigli. Appena composta l'opera, accennando alla "Canzone del Falco", il Maestro ebbe a dire: "La tessitura è tutta centrale, non c'è una nota acuta e, malgrado ciò, essa difficilmente troverà il tenore ideale che canti questo pezzo come vorrei". Ma in Beniamino Gigli lo trovò, e non solo per la "Canzone del Falco" ma pel duetto, per tutte le scene importanti dell'opera, e realizzò il sogno dell'Autore nelle notti insonni, quando scriveva "Isabeau", abbandonato ad un ideale d'arte elevata.
Beniamino prima di accettare il contratto con l'EIAR, venne da me e mi chiese se poteva cantare "Isabeau", se l'opera era adatta ai suoi mezzi vocali. Io non solo gli dissi che la poteva cantare, ma che ne avrebbe fatta una grande esecuzione. Anche questa volta studiò l'opera con me, che non mancai di metterlo al corrente di tutti gli intendimenti mascagnani.
Mancavano due giorni alla partenza per la prima prova d'insieme a Torino, ma Gigli mi disse che voleva rimandare la partenza perchè desiderava approfondire ancora l'opera e presentarsi a Mascagni il più perfetto ossibile. Intanto a Torino erano incominciate le prove con gli artisti tutti presenti: mancava solo Gigli. Passa un giorno, ne passa un altro, Gigli non arriva. Mascagni offeso per questo ritardo, sospende le prove con gli artisti e con l'orchestra e non vuole più dirigere l'opera. Si chiude in Albergo e non vuole vedere più nessuno.
Dopo due giorni arriva Gigli. La Direzione della Radio lo mise al corrente di quanto era accaduto e Gigli disse: "Non vi preoccupate, vado io stesso da Mascagni". Ma il Maestro non lo volle ricevere. Le cose si mettevano veramente male. I dirigenti della Radio andarono da Mascagni e tanto fecero e tanto dissero che convinsero il Maestro a riprendere le prove.
L'incontro tra Mascagni e Gigli non fu certo amichevole. Con una faccia accigliata di persona offesa, Mascagni gli disse che tardando, mentre tutti gli artisti erano stati puntualissimi, aveva mancato di rispetto ai suoi colleghi e a lui; da lei non mi sarei mai aspettato una cosa simile. Non creda, perchè lei è arrivato alla celebrità di potersi permettere certe sconvenienze. Ma Gigli, calmo, disse che se aveva tardato, non era stato per mancanza di rispetto a lei Maestro e ai miei colleghi, ma per studiare e approfondire meglio l'opera e presentarmi degno di tanto incarico, verso lei che è l'Autore. Mascagni: "Bella scusa! chi sà dove ha studiato e con quale cane di maestro, un maestro che non conoscerà nemmeno le mie più piccole intenzioni: ed ora devo io, in poco tempo, cercare di mettere a posto l'opera". Gigli sempre calmo rispose: "Ma io l'ho studiata a Roma col maestro Ricci che conosce molto bene le sue opere". La facciata di Mascagni si rassenerò: "Ma se io sapevo che l'opera la studiava col maestro Ricci, allora poteva venire pure alla prova generale".

Isabeau - "Canzone del Falco" (1941)


Isabeau - "E passerà la viva creatura" (1941)


Nel rievocare una circostanza che per me è di particolare gioia ricordare, debbo rifarmi al 1911, quando conobbi Beniamino Gigli, e che varrà anche a fissare l'anzianità, per così dire, dell'amicizia, che non si è mai offuscata, tra me e il grande tenore, con una comprensione artistica e un affetto difficili trovarli uguali nel mondo.
Mia madre si chiamava Cecilia, e il giorno 22 novembre in cui tale nome ricorre, s'invitavano a casa amici, parenti, per festeggiare il suo onomastico. Io accompagnavo già da vari anni la scuola di canto di Cotogni sia privatamente che nel Liceo di Santa Cecilia durante il periodo dei miei studi, e avevo conosciuto molti suoi allievi tra cui Gigli, il quale studiava al Liceo di Santa Cecilia e dava, per la bellezza della sua voce, ottima speranza di quello ch'è stato poi il suo avvenire luminoso. Questi entrò nella scuola di Cotogni, ma per esigenze di distribuzione di allievi, in seguito, venne affidato al Professore Enrico Rosati, venuto dal Conservatorio di Parma. Quei pochi mesi di studio, ma profondo studio accompagnati dal sottoscritto, bastarono al Cotogni per insegnare al suo allievo, quello che egli seppe sfoggiare nella sua lunga carriera: la mezza voce e il canto a fior di labbro, che doveva poi, nell'ugola di Gigli, commuovere gli uditori di tutto il mondo.

Antonio Cotogni con il giovane Luigi Ricci

Ma torniamo all'onomastico di mia madre.
Nel 22 novembre 1913, volli fare un ricevimento più importante, e tra gli artisti, sempre allievi del Cotogni, invitai a cantare anche Gigli. Erano quelli i tempi in cui gli artisti si preparavano sul serio, con gravi e diuturni sacrifici, nell'attesa della loro ora immancabile, ma decisi a sfidare la fame. Gigli apparteneva alla schiera che conobbe la miseria ma con gli occhi fissi alla loro stella. Accettò il mio invito, ma io compresi che se oltre al rituale rinfresco ci fosse stata una giunterella in denaro, la cosa sarebbe stata enormemente gradita dal Gigli. Questi venne e cantò non so più dire quanti pezzi, forse una trentina. Brani d'opere, arie antiche, canzoni napoletane, cantati con quel suo impeto e quella sua voce che era fresca come una sorgente d'acqua pura. Avevo il cuore pieno di commozione e di riconoscenza.
Il giorno dopo il ricevimento, mentre salivo la vecchia scalinata del Liceo di Santa Cecilia, incontrai Gigli che ne scendeva e nel dargli la mano, gli consegnai la modesta somma di quindici lire intese a porgergli un più tangibile segno di gratitudine per la sua generosa partecipazione alla mia festa domestica. Non so dire la schermaglia di Gigli nel dover mostrare di rifiutare un compenso che gli giungeva al tempo stesso graditissimo e opportuno. Ricordo che scendendo la rampa ad ogni svolta guardava in su gridandomi: "Grazie, grazie Riccetto, grazie!". Credo che quello fu il primo guadagno di Beniamino Gigli.

Canzone napoletana "Luna nova" (1953)


Da allora abbiamo proseguito il nostro cammino fraternamente. Il suo repertorio, nel quale ha conseguito i più trionfali successi, l'ha studiato con me. Sono stato con lui in giri di concerti in Europa e per quanto i successi suoi siano tali che a descriverli si corre il rischio di ricadere nei soliti luoghi comuni, pure debbo confermare che non ho mai assistito a deliri di platee come quelli che ha saputo destare Gigli con le risorse della sua voce e della sua incomparabile arte.
Il programma d'un suo concerto non andava abitualmente al di là di dieci o dodici numeri, ma talvolta i bis li superavano. Insomma, se la gola di Gigli avesse avuto la resistenza di coloro che l'ascoltavano, egli avrebbe dovuto cantare a gente che sarebbe stata a sentirlo per ore e ore. Ma all'uscita la cosa prendeva talvolta degli aspetti paurosi ed io che ignoravo tali forme di violenti entusiasmi, alle prime volte uscivo malconcio dal tafferuglio che segnava la fine d'un concerto, ma poi imparai e appena Gigli mi faceva segno che il concerto era finito, dopo l'ultimo pezzo, io lo lasciavo immerso nella sala acclamante fra il pubblico che se lo vagheggiava in ogni aspetto e uscivo rintanandomi nell'automobile che era all'ingresso e di là mi godevo lo spettacolo di quell'entusiasmo che cresceva via via d'intensità e trepidavo per gli sforzi erculei che il povero artista era costretto a fare per raggiungere la macchina che ci doveva portare all'Albergo.
Nel 1933 mi recai la prima volta con lui a Budapest. La sera Gigli mi precedeva nell'ingresso della sala, accolto dal solito uragano di applausi. Sedetti al piano in attesa che la bufera si placasse e nell'attendere mi volsi verso la platea. Il nostro palco si elevava di appena trenta centimetri dal piano-terra e la prima fila delle poltrone distava da noi un metro circa. Immaginate tutta la prima fila piena delle più sfolgoranti beltà femminili di Budapest, del più genuino carattere ungherese: una serie continua di occhi pronti come miccie ad ardere d'entusiasmo, un campionario assortito del quale neppure un esemplare era da scartare. Nella comoda persuasione che l'applauso a Gigli dovesse durare ancora un bel pezzo, io me ne stavo incantato a contemplare tanto paradiso in terra. Ma il tempo era passato più veloce della mia contemplazione, e a togliermi da così sottile incantesimo, ci pensò Gigli, che dovette ricorrere al richiamo orale poichè il suo muto segnale d'attacco era rimasto da me inosservato. Fu un momento di ilarità per noi due e anche per quelle signore che avevano perfettamente capito.

Handel - Ombra mai fu (Largo) - 1933


Forse a molti è sconosciuto, se non a tutti, che il primo Principe Ignoto, ossia Calaf, nell'opera Turandot di Giacomo Puccini, doveva essere Beniamino Gigli. Ma andiamo per ordine. Il 1° settembre 1924, a due mesi dalla morte, Puccini scriveva ai suoi collaboratori librettisti: "Oggi riprendo a scrivere. Ho passato crisi tremende - anche per la salute. Quel mio mal di gola che mi tormenta dal marzo pareva cosa grave. Ora sto meglio e poi ho la sicurezza che è cosa artritica e che curandomi finirò a star meglio. Ma ho passato giorni tristissimi. Venne Clausetti ieri e dissi il sì per la Scala".
E il 7 settembre, sempre agli stessi collaboratori: "E' partito or ora di qui Toscanini. Siamo in perfetto e simpatico accordo e finalmente respiro. Così è finito l'incubo che sovrasta fin dall'aprile".
Puccini, con Clausetti della Casa Ricordi e Toscanini, si erano messi d'accordo per il luogo, l'epoca e gl'interpreti, per l'andata in scena della sua Turandot, ormai al termine.
Beniamino Gigli, nel medesimo mese, durante la permanenza a San Francisco, riceve un telegramma di Giacomo Puccini: "Desidererei avervi primo interprete di Turandot, che sarà data alla Scala in aprile. Sicuro che farete ammirabile creazione confido nella vostra preziosa collaborazione. Telegrafatemi alla Scala sulla possibilità. Saluti".
Gigli era già impegnato con Gatti Casazza, per interpretare la nuova opera di Puccini che sarebbe andata in scena nella futura stagione al Metropolitan, ma l'Autore, contrariamente a quanto si era detto e stampato, aveva preferito Milano, la Scala e Toscanini.
Beniamino così rispose: "Terminando miei impegni in aprile potrò essere a Milano ai primi di maggio per interpretare Turandot. Grato intanto per preferenza ed onore altissimo affidatomi. Saluti".
Ma improvvisamente, il male alla gola peggiorò con violenza. Il 4 novembre dello stesso anno, Puccini partì per Bruxelles. Passarono giorni di strazio. Poi l'operazione, e il 29, per una crisi cardiaca sopraggiunta dopo la terribile applicazione alla gola di sette grossi spilli permeati di radio, l'anima di Giacomo Puccini passò all'eternità. E l'opera Turandot? Nel 1924, sino alla morte di Liù, anzi sino all'uscita del corteo che trasportava la piccola salma, era ultimata nella composizione e nella strumentazione, ed era già stata consegnata agli Editori. Da quel punto sino al finale, Puccini aveva riempito tra appunti, abbozzi, stesure, 36 fogli che egli portò con sè a Bruxelles ove sperava di terminare l'interrotto lavoro appena il suo male gliel'avesse permesso. Fatica che non avrebbe richiesto più di una ventina di giorni. Ma il destino ha voluto che Puccini chiudesse gli occhi per sempre insieme alla sua piccola Liù, e l'opera rimase incompiuta. Fu ultimata dal maestro Franco Alfano sugli appunti lasciati da Puccini e fu rappresentata alla Scala la sera del 25 aprile 1926.
Beniamino Gigli, alla nuova richiesta fatta dalla direzione della Scala, per essere il primo interprete dell'opera, non potè purtroppo aderire. Non era libero e con grande rammarico non potè liberarsi per tale epoca. Era destino che Gigli non doveva essere il primo interprete di Calaf come era stato vivo desiderio del Grande scomparso, Giacomo Puccini.
Turandot ebbe un grande successo e cominciò subito il giro trionfale nel mondo, e il nostro Beniamino, a diecine e diecine di richieste per interpretare l'opera, ha sempre rifiutato e non l'ha mai voluta cantare. Diceva: "Non sono stato il primo Calaf, non voglio essere l'ultimo". Ha eseguito solo in concerto e si può dire quasi alla fine della sua luminosa carriera artistica, la romanza del 3° atto: "Nessun dorma". Questo disco Beniamino lo ha inciso a 60 anni!

Turandot - "Nessun dorma" (1949)


Qui vale la pena di raccontare un vero, dico vero, aneddoto.
Nel 1921 era a Roma Puccini per giudicare insieme a Mascagni, Toscanini, Bossi, Cilea e D'Atri, venticinque opere presentate a un concorso. Assenti tutti i componenti della giuria del concorso, di maestri era rimasto lui solo. In quei giorni appunto lo vidi entrare nel negozio Ricordi (allora al Corso) dove io mi trovavo. Tutti lo circondammo devotamente. Fra tanti discorsi si parlò anche della "Turandot". Gli chiedemmo a che punto fosse l'opera. Ci rispose che tra fare e disfare, fra togliere e aggiungere brani del libretto, mutare parole, situazioni, musica, si era ancora quasi da capo. Concluse sorridendo: "La 'Turandot', se va di questo passo sarà come il 'Nerone' di Boito: io morirò e l'opera resterà incompiuta, e sarà completata da un altro maestro". Chi avrebbe allora immaginato che quelle parole dette scherzando, erano un presentimento che si sarebbe puntualmente avverato!

Ma torniamo al nostro Gigli.
In una delle migliori recite di "Rigoletto" cantate da Gigli, il figlio Enzo ascoltava per la prima volta l'interpretazione paterna di tale opera. Un "Rigoletto" con un complesso artistico di primissimo ordine ed una messa in scena fantastica. Scene bellissime. Il temporale del 4° atto, ideato e realizzato da Pericle Ansaldo, il mago dell'allestimento scenico, fu una cosa meravigliosa. Con una macchina elettrica di nuovissima invenzione, venivano proiettate nel cielo, le nubi in movimento, come fossero spinte dal vento. All'avvicinarsi del temporale, le nubi avanzavano rapide, s'intensificavano e divenivano oscure e minacciose e coprivano tutto il cielo. Lampi, tuoni, saette, realizzate alla perfezione. Perfino gli alberi, ad ogni raffica di vento che aumentava di minuto in minuto, si muovevano, si contorcevano, si divincolavano, si piegavano. Insomma il pubblico in platea, aveva la sensazione di assistere ad un vero temporale. Pur avendo il Gigli ottenuto un successo strepitoso di pubblico, desiderava udire dalla voce del figlio, a conforto per il suo artistico lavoro, due parole di complimento, di elogio: logica vanità paterna. Forse Gigli teneva più a poche parole affettuose dette dal figlio, che a tutti i successi del pubblico. Finito lo spettacolo, Enzo andò nel camerino e Gigli, ancora trepidante per il successo riportato nell'opera, si rivolse a lui e gli chiese che cosa gli fosse più piaciuto nel Rigoletto, specie nei brani salienti dell'opera, dove il tenore ha modo di far rifulgere l'interpretazione e i tesori della sua voce. E il figlio, nella sua ingenuità, dopo un po' di esitazione gli rispose: "Papà, mi è piaciuto il temporale".

Rigoletto - "La donna è mobile" (1934)


Negli ultimi giorni di dicembre 1957, fui ricoverato in una clinica di Roma, gravemente malato. Ho subìto cinque interventi chirurgici, due dei quali molto difficili. Sono stato molti giorni tra la vita e la morte. Ero conscio della gravità del male. Non so se durante uno dei difficili interventi, o prima o dopo, non ricordo, dormivo con sonno artificiale e avevo la testa confusa, pesante. Vedevo spettri, animali antidiluviani, antri oscuri, abissi da dove scaturivano con fragore acque nere. Udivo voci confuse. La mia testa era un caos. Ad un tratto vedo una luce che lentamente s'ingrandisce e aumenta sino a divenire luminosissima, fosforescente. In mezzo a questa luce, vedo apparirmi Beniamino Gigli, giovane, che mi sorrideva con il suo sorriso simpatico, leale, e mi stendeva le braccia. Ho capito - mi son detto - è Beniamino che con la sua voce di paradiso è in cielo e canta agli Angeli e ai Santi, ed è venuto a prendere il suo fedele accompagnatore. Poi non ricordo più nulla.
Saranno passati uno, due giorni, forse più, non so. Dormivo ancora con sonno artificiale, e nel sonno udivo voci che mi chiamavano. Con fatica mi destai, e con sforzo aprii gli occhi. Intorno a me erano i dottori che mi dicevano: "Su maestro: su, su, si svegli. Maestro, tutto è andato bene!".
La mia stanza era inondata di sole. Guardai i dottori e sbottai a piangere: ero vivo! Il primo pensiero fu per l'apparizione, nella luce viva, fosforescente, di Beniamino Gigli.
Durante la lunga permanenza in clinica e durante la convalescenza, pensai varie volte a questi episodi, e mi son rammentato che..........

Era l'anno 1935. Mi trovavo con Gigli in Germania per un lungo giro di concerti. Verso la fine di novembre, di mattina, arrivammo ad Amburgo. Era una bella giornata: sembrava primavera. Dopo pranzo Beniamino mi disse: "Prendiamo una carrozza, ti voglio far vedere i parchi che sono intorno alla città, con villini bellissimi, tutti coperti di fiori e piante, una cosa veramente bella". E andammo. Durantela scorrazzata mi disse: "Curioso! Da questa mattina penso sempre a un episodio della mia vita". E mi raccontò, e nel ricordo gli si velavano gli occhi.
"Era l'anno 1930. Dovevo partire per l'America del Nord ed avevo la mamma gravemente malata. La sera avanti alla partenza, la mamma volle che rimanessi solo con lei. Mi disse: "Figlio, figlio mio, sento che non ti vedrò mai più". - Te lo prometto, mamma - gli risposi con le lacrime agli occhi -. Da quella sera, io che fumavo da trenta a quaranta sigarette al giorno, non ho più fumato. Ho mantenuto la promessa.
La mattina seguente, dopo aver salutato la mamma, col cuore spezzato dal dolore, partii per l'America. Il 23 settembre mi trovavo a San Francisco. Cantavo "Lucia di Lammermoor" all'Auditorium. Era giunto un cablogramma, indirizzato al mio segretario Amedeo Grossi, che annunciava la morte della mamma. Tra un atto e l'altro mi avevano avvertito che la mamma s'era aggravata: mi celavano la verità. Quando all'ultimo atto attaccai "Tu che a Dio spiegasti l'ali" il mio canto era appannato di tristezza e cantai tale brano come non l'ho più cantato in vita mia."

Lucia di Lammermoor - "Tu che a Dio spiegasti l'ali" (1927)


"Finito lo spettacolo tra ovazioni e applausi interminabili, andai nel camerino, e lì mi dissero la cruda verità. Sbottai a piangere e gridai: "Mamma, mamma mia, non ti vedrò mai più! e non ho potuto porgerti l'ultimo mio bacio!".
No, Beniamino, mio grande e indimenticabile amico! Ora sei tu: "Che a Dio spiegasti l'ali" e, come premio delle tue terrene fatiche, sei in cielo eternamente vicino alla tua mamma che tanto hai adorato!

(Luigi Ricci - "Ricordando Beniamino Gigli e il suo tempo" - Roma, 14 novembre 1977)

 

Buenos Aires, 2 agosto 1948 - Concerto a favore della Croce Rossa italiana - Giulio Neri, Luigi Ricci, Maria Caniglia, l'impresario Grassi Diaz, Rina Gigli, Fedora Barbieri e Beniamino Gigli

giovedì 10 giugno 2021

"Il mio amico Beniamino Gigli" - di Luigi Ricci (1973)

«Nel 1932 riportò la sua famiglia in Italia, e ci ritrovammo. Mi propose di fare il suo accompagnatore al pianoforte. Periodicamente, nel corso di 18 tournée, ci recammo in più di 50 città europee e in numerose città sudamericane.
Fu così che divenni il suo accompagnatore ufficiale e uno dei suoi migliori amici. (...)
Girando in lungo e in largo l'Europa con quel personaggio d'eccezione, ebbi modo di apprezzare da vicino la sua impareggiabile serietà professionale. Provavamo senza sosta. La sera era sempre il primo ad arrivare nei teatri ancora immersi nell'oscurità, e provvedeva da sé al trucco e a scegliersi il costume più adatto fra i tanti che si faceva personalmente confezionare dal sarto. (...)
Era questo senso della perfezione che gli permetteva di presentarsi sulle scene di tutto il mondo con sicurezza e disinvoltura.
(...) lo stesso Gigli ebbe a confessarmi una volta: "La mia vita è il palcoscenico".»

(da: Luigi Ricci - IL MIO AMICO BENIAMINO GIGLI, luglio 1973)

 


'La mezza voce e il canto a fior di labbro' insegnati da Cotogni a Beniamino Gigli

Antonio Cotogni e Luigi Ricci

BENIAMINO GIGLI
Questi entrò nella scuola di Cotogni, ma per esigenze di distribuzione di allievi, in seguito, venne affidato al Professore Enrico Rosati, venuto dal Conservatorio di Parma. Quei pochi mesi di studio, ma profondo studio, bastarono al Cotogni per insegnare al suo allievo, quello che egli seppe sfoggiare nella sua lunga carriera: 'La mezza voce e il canto a fior di labbro', che doveva poi, nell'ugola d'oro di Gigli, commuovere gli uditori di tutto il mondo.

(da: UNA SCUOLA ROMANA DI CANTO - Conferenza del Maestro Luigi Ricci - Roma, 5 aprile 1957) 

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mercoledì 9 giugno 2021

"Padre Gallo": la saggezza della tecnica vocale antica in un esercizio usato dal grande tenore Beniamino Gigli

 

"Padre Gallo" - Esercizio vocale usato da Beniamino Gigli


Vocalizzo (esercizio vocale) usato per studio dal tenore Beniamino Gigli:

- Senta, che tipo di vocalizzi ha sentito che faceva (Gigli) quando studiava?
- Eh, nonno faceva, a parte quelli classici, un vocalizzo che diceva (intona su una nota) : "Padre Gallo aveva un gallo, bianco rosso verde e giallo, per addomesticarlo usava pane e miele"; senza calare mai fino a andare su vocalità alte, quindi lo teneva con un fiato solo, e quando si va su è difficilissimo, cioè se spingi non arrivi a metà di questa frase.

(tratto dall'Intervista al Dott. Beniamino Gigli, nipote del grande tenore italiano, condotta dal soprano e docente di tecnica vocale del Belcanto Italiano Astrea Amaduzzi e il M° Mattia Peli, realizzata a Roma il 23 aprile 2015) 

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Cosa ha in comune l'esercizio usato da Beniamino Gigli ("PADRE GALLO") con:

- l'incipit di "Che gelida manina", e il passaggio affine alle parole "aspetti, signorina" (dalla Bohème di Puccini),
- le prime battute tenorili di "E lucevan le stelle" (dalla Tosca di Puccini),
- l'incipit vocale di "E' la solita storia del pastore" (dall'Arlesiana di Cilea)?

Applicazione di Padre Gallo nella Tosca di Puccini - "E lucevan le stelle"

Ma anche, ad es., con tanti altri momenti operistici, e non solo, affidati alla voce sopranile, come alcune battute del genere di "La storia mia è breve" nell'aria di Mimì nella Bohème pucciniana) e poi
- nella successiva aria di Mimì "Donde lieta uscì" alle parole "al solitario nido" (notare come dopo il "Donde lieta", vi sia subito una frase più lunga di questo tipo cantata dal tenore alle parole "Dunque è proprio finita!... Te ne vai, te ne vai, la mia piccina."), e ancora
- in "Vissi d'arte" dalla Tosca, alle parole "la mia preghiera ai santi taber(nacoli)", "nell'ora del dolore", "Diedi gioielli della Ma(donna)", "agli astri, al ciel che", e poi
- nella Butterfly, l'entrata di Butterfly alle parole "ancora un passo or via", "un primaveril soffio gio(condo)", "(fan)ciulla più lieta del Giappone, anzi del (mondo)", (ve)nuta al richiamo d'a(mor)", e poi
- in "Un bel dì vedremo" passaggi simili ad es. alle parole "e come sarà giunto", "chiamerà Butter(fly)", (ri)sposta me ne starò na(scosta), "(i) nomi che mi dava", o ancora
- l'incipit vocale di "Ebben? ne andrò lontana" (ed altri punti di quest'aria) dalla Wally di Catalani!!!

Ognuno può trovare passaggi di questo tipo anche in altri registri vocali, mezzosoprano, contralto, baritono, basso, lungo l'immenso repertorio vocale...

Questo esercizio vocale che praticava il grande Gigli ancora in tarda età non ha a che fare solo con il fiato, come possono pensare in tanti, ma anche con le posizioni vocali delle vocali cantate "a, e, i, o, u" (delle quali le "e" ed "i" non devono risultare nella lirica schiacciate come sono nel parlato comune, la "u" non deve risultare sorda e mancante di spazio come nella "u" pura, e la "a" non deve risultare "indietro", sfocata e "aperta" come spesso può accadere nel linguaggio parlato). Tutte le vocali devono essere perfettamente "a fuoco" e anche le consonanti non devono essere sfocate, bensì avanti: in maschera (in questo l'uso corretto del palato molle alzato e sempre di una certa dose di verticalità sono fondamentali). Il tutto nel legato di un'unica frase nella quale tendenzialmente le note ribattute saranno a "mezza voce" e si girerà di più il suono verso la "piena voce" sulla nota più alta che tocca l'esercizio con un certo "portamento" ascendente fatto nel modo giusto, equilibrato. Naturalmente, nel ripetere l'esercizio, salendo gradualmente di semitono, bisognerà fare attenzione alla gestione dell'area di passaggio verso le note acute. Nei centri le consonanti dovranno essere scolpite maggiormente e si terrà la voce più "leggera" nella pressione del fiato, trovandoci nel 'registro del parlato', più si sale, invece, e più dovrà avvenire tendenzialmente l'opposto, dato che ci troveremo nell'ottava in cui si 'canta'.

Buono studio a tutti!

martedì 16 febbraio 2021

Ricordando Beniamino Gigli, cantante lirico e 'maestro' di tecnica vocale, a 130° anni dalla nascita - Diretta video con il soprano Astrea Amaduzzi ed il M° Mattia Peli

Ricordando Beniamino Gigli, cantante lirico e 'maestro' di tecnica vocale - 20 marzo 2020 - 130° anniversario della nascita del tenore recanatese - Diretta video con il soprano Astrea Amaduzzi ed il M° Mattia Peli

RICORDANDO BENIAMINO GIGLI, CANTANTE LIRICO E 'MAESTRO' DI TECNICA VOCALE - 20 marzo 2020 - 130° anniversario della nascita del tenore recanatese Beniamino Gigli - Diretta video con il soprano Astrea Amaduzzi ed il M° Mattia Peli -
Abbiamo dato "voce" al canto e alla parola dell'immortale Gigli in merito al canto lirico (citando e spiegando alcuni suoi consigli e lezioni dal carattere didattico del 1932, 1938, 1946 e 1955). 

Nella trasmissione, a festeggiamento del cantante marchigiano, abbiamo ascoltato e commentato assieme alcuni brani: "LA DANZA" di Rossini, "M'apparì" dalla Marta di Flotow, la parte centrale di "Un dì all'azzurro spazio" dall'Andrea Chénier di Giordano, "Apri la tua finestra" dall'Iris di Mascagni e per finire "E lucevan le stelle" dalla Tosca di Puccini.

I principali punti tecnici che abbiamo toccato sono stati:
- la respirazione adatta al canto lirico
- la 'preparazione mentale' all'attacco del suono
- il canto "sul fiato"
- il suono "raccolto"
- il "chiaro-scuro"
- suono 'aperto'/suono 'coperto'
- l'adattamento delle vocali nel canto lirico
- il legato
- il passaggio alla zona "di testa"
- gli acuti
- il suono "avanti"

Buon ascolto e buona riflessione a tutti!!! W Gigli ed il belcanto italiano! 


lunedì 15 febbraio 2021

Come studiava il tenore Gigli nel ricordo di Beniamino Gigli jr. - Esercizio vocale ('Padre Gallo') ed allenamento sulla vocale "i"

Beniamino Gigli jr. con il soprano e maestra di bel canto Astrea Amaduzzi ed il M° Mattia Peli - Roma 2015

Come studiava il celebre tenore Beniamino Gigli? 

La risposta a questa domanda giunge dal ricordo del nipote romano Beniamino Gigli jr. 

Il tenore Beniamino Gigli con il nipotino Beniamino Gigli jr.
 

Vocalizzo (esercizio vocale) usato per studio dal tenore Beniamino Gigli:

- Senta, che tipo di vocalizzi ha sentito che faceva (Gigli) quando studiava?
- Eh, nonno faceva, a parte quelli classici, un vocalizzo che diceva (intona su una nota) : "Padre Gallo aveva un gallo, bianco rosso verde e giallo, per addomesticarlo usava pane e miele"; senza calare mai fino a andare su vocalità alte, quindi lo teneva con un fiato solo, e quando si va su è difficilissimo, cioè se spingi non arrivi a metà di questa frase.

(tratto dall'Intervista al Dott. Beniamino Gigli, nipote del grande tenore italiano, condotta dal soprano e docente di tecnica vocale del Belcanto Italiano Astrea Amaduzzi e il M° Mattia Peli, realizzata a Roma il 23 aprile 2015) 

 

L'allenamento del tenore Beniamino Gigli sulla vocale I, nella testimonianza di Beniamino Gigli jr. - Roma, 23-04-2015

Beniamino Gigli jr. parla di suo nonno, il celebre tenore Beniamino Gigli, e di come, da piccolo, il nonno lo portasse alla Villa Gigli di Porto Recanati per studiare assieme, instancabilmente, l'emissione dei suoni vocalici, in particolare ripetendo centinaia di volte la vocale I finché non fosse perfetta.

(estratto audio dall'incontro-intervista di Belcanto Italiano con il Dott. Beniamino Gigli, nipote del celebre tenore recanatese Beniamino Gigli, del 23 aprile 2015 - a cura del soprano Astrea Amaduzzi)

Queste due 'pillole gigliane' di belcanto sono tratte dall'Intervista audio completa, condotta dal soprano e docente di tecnica vocale del Belcanto Italiano Astrea Amaduzzi, al Dott. Beniamino Gigli, nipote dell'omonimo celebre tenore - Roma, 23 aprile 2015

 

"Cari amici cantanti, se avete problemi di canto, irritazione alle corde vocali, non vi dò medicina ma vi dico di ascoltare Astrea Amaduzzi un soprano dalla Tecnica vocale sopraffina. Beniamino Gigli" - Roma, 10/1/2016

Gigli jr. con alcuni partecipanti della masterclass di belcanto del soprano Astrea Amaduzzi a Roma (2016) 

  
Concerto in memoria di Beniamino Gigli - Roma, Chiesa nazionale argentina dell'Addolorata in piazza Buenos Aires, 30 novembre 2016  

Gigli jr. al Teatro Persiani, 2017

La grande occasione - Teatro Persiani, Recanati 2017

SACRED VOCAL MUSIC - Concerto Pentecoste con B. Gigli jr. Roma, 4 giugno 2017



Concerto in omaggio al tenore Beniamino Gigli nel 60° anniversario - Verona, Teatro Filarmonico 23 novembre 2017 (ultimi a destra: Beniamino Gigli jr. ed il tenore Ugo Benelli)
 
 
La grande occasione - Roma, 25 maggio 2018


La grande occasione - Santa Cecilia, Roma 26 maggio 2018

Testimonianza del regista e fotografo Gianfranco Lelj su Beniamino e Rina Gigli

 

Il regista e fotografo Gianfranco Lelj ricorda Beniamino e Rina Gigli - Recanati, 30 agosto 2017

Testimonianza del regista e fotografo Gianfranco Lelj su Beniamino e Rina Gigli, data tra la prima e la seconda parte del Concerto del soprano Astrea Amaduzzi, accompagnata all'organo dal M° Mattia Peli, in omaggio a Beniamino e Rina Gigli - Cattedrale di San Flaviano - Recanati, 30 agosto 2017 

 
 
Il regista e fotografo Gianfranco Lelj con il soprano Astrea Amaduzzi, a conclusione del Concerto (Basilica di San Flaviano - Concerto in omaggio di Beniamino e Rina Gigli - Recanati, 30 agosto 2017)       
 
Gianfranco Lelj nel post Concerto dedicato a Beniamino e Rina Gigli con Luigi Vincenzoni, il Belcanto Italiano Duo e Pierluca Trucchia, pres. dell'Ass. 'B.Gigli'