mercoledì 13 luglio 2016

La tecnica vocale di Gigli raccontata dal Tenore Ugo Benelli

Cari lettori, abbiamo il piacere di pubblicare oggi l'intervista su Gigli al tenore di grazia Ugo Benelli effettuata il 31 marzo 2016 da Astrea Amaduzzi e Mattia Peli, fondatori e direttori di Belcanto Italiano ®.

Troverete una speciale testimonianza nel ricordo pieno di entusiasmo di Benelli che era andato ad ascoltare Gigli in una storica recita di Cavalleria rusticana e Pagliacci del 30 maggio 1952 all'Augustus di Genova.

Gigli nelle vesti di Canio nei "Pagliacci" di Leoncavallo
Al termine dell'opera (e dei numerosi bis) cantati dal grande tenore, il giovane Ugo Benelli, assieme ad altri studenti di Canto, accorsero per salutare Gigli e per fargli alcune fondamentali domande sulla questione tecnico - vocale.

Gigli rispose con garbo e molto volentieri a quei giovani aspiranti cantanti, e riteniamo che le sue risposte siano eccezionalmente utili adesso - come allora - per tutti coloro che cerchino la vera tecnica della grande scuola del Belcanto Italiano. Sorprenderà la semplicità delle risposte in argomenti forse già molto conosciuti, spiegati con la disinvoltura di chi, sicuro del proprio strumento, sa veramente cosa dire a chi chiede come cantare.

Ugo Benelli allora giovinetto era presente, e qui ricorda ciò che disse Gigli sul diaframma e l'emissione sulla lettera U "per trovare l'appoggio".

Beniamino Gigli nella Cavalleria rusticana di Mascagni, nelle vesti di Turiddu


Gigli canta ne I Pagliacci di Leoncavallo

 Audio - intervista al Tenore Ugo Benelli su Gigli, del 31 marzo 2016


AA (Astrea Amaduzzi): Senti, Ugo, siccome noi abbiamo fondato questo Centro Internazionale di Studi per il Belcanto Italiano, dedicato proprio a Beniamino e Rina Gigli, a Recanati, tutto quello che è pubblicazioni e anche testimonianze dirette su questi grandi artisti vogliamo assolutamente raccoglierli, e quale nome più illustre del tuo per avere una testimonianza diretta, perché appunto ci hai detto che hai avuto l'occasione di ascoltare Gigli!

UB (Ugo Benelli): Sì, alla fine dell’Opera, quando è uscito dalla porta di servizio, siamo andati tutti li' intorno e c’erano con me gente che studiava canto, ed io che volevo studiar canto, capisci? Quindi, ero molto interessato a sentirla.

AA: Sì, e... dunque, intanto cosa hai potuto vedere durante il concerto, vedere e sentire, cosa ricordi, e poi cosa, diciamo, hai sentito dire anche dopo in questa uscita di servizio?

UB: Eh, sai, lui è venuto, mi ricordo... intanto eravamo impressionati, perché io, appassionato – mio nonno aveva tutti dischi di... i vecchi 78 giri, addirittura di quelli incisi solo su una facciata, capisci? Caruso, Martinelli, tutti i tenori, Pertile, quella gente...

AA: Che gente meravigliosa!

UB: ...e Gigli logicamente! E io avevo il Werther di Gigli, per mia passione, e il duetto dei Pescatori di Perle di Gigli, che io lo adoro, quel duetto lì. E, praticamente, certe cose, in quel duetto lì, specialmente l'ho studiato proprio sulla registrazione di Gigli, quello lì, ecco.

AA: Che meraviglia!


UB: E tutti chiedevano, chiedevano qualche cosa, e lui era stanco, però; diceva che era stanco qui, toccandosi la pancia, ma non stanco qui, alla gola, toccandosi la gola. Quando i cantanti gli dicevano, “Come dobbiamo fare?” Intendeva dire che bisogna lavorare col diaframma, capisci, e non con la gola, perché... "Sono stanco", aveva una vocina così, sai, "sono stanco qui" e si toccava la pancia, "ma non qui", diceva ai cantanti, capisci? E poi, dicevano, "ma il rimedio per sapere proprio quest'appoggio?", che è la base del canto nella maniera più assoluta, dicevano, "come si fa?"

“Quando non sapete come si fa ad appoggiare, dovete fare una U soffiata", diceva. "Perché è come gonfiare un palloncino." Perché se tu pensi a soffiare in un palloncino, provi a soffiare, specialmente se il palloncino non è tanto tenero, ti metti una mano sul diaframma e vedi immediatamente dove...

AA: Ma Ugo, scusa Ugo, fammi aprire una parentesi, ma lo sai che lo faccio fare sempre ai nostri studenti? Gli prendo i palloncini in cartolibreria e glieli faccio gonfiare!

UB: Astrea, il suo metodo di canto era poi molto labiale anche, di Gigli, no? Usava questa bocca per cantare, Gigli [Benelli accenna, intonando con labbra sporgenti: "Mamma, solo per te la mia canzone..."], tipo Tagliavini, voglio dire, ma era il tipo di vocalità di quelli giovani, miei colleghi, Casellato aveva questo tipo di vocalità, Renzo Casellato, un grande tenore del mio genere.

AA: Certo, eh sì.

UB: E quindi, è su questo soffiato che cantavano, capisci. La U, se fai la U, specialmente labiale, devi per forza appoggiare sul fiato. Eh! Altrimenti, non esce il suono, ecco. E' questo che diceva [Gigli].

AA: Sì, e poi la U aiuta anche un po' il palato molle a sollevarsi, che  è anche una cosa utilissima per creare spazio, diciamo, e tu pensa che il mio primo maestro di canto che è stato Ennio Vetuschi, che era un direttore di coro, ma molto bravo, devo dire, un tenore appunto, lui mi diceva di cercare i suoni proprio sulla lettera U, perché mi spiegava che faceva spazio e portava i suoni in alto, in maschera, insomma, come si suol dire.

UB: Praticamente, se vuoi trovare... le altre note, se non sei ancora a posto con il canto [Benelli fa l'esempio di una emissione su una A] : "A", "A", fai la A, sì, puoi cercare di appoggiare al diaframma, ma ti può andare a risuonare in gola, e anche... la E meno, ma anche la E ti può andare a risuonare in gola, invece con la U non c'è niente da fare. Se fai una U labiale [Benelli fa l'esempio di una emissione di una U] "U" "U", tipo come sirena, quello che vuoi, trovi il diaframma.

AA: Eh sì, esatto, trovi proprio il contatto tra il fiato e l'emissione del suono.

UB: Eh...ed è giusta. Sulla U, o cominci a tossire, oppure devi per forza appoggiare sul fiato!

AA: Sì, concordo, assolutamente! Senti altri ricordi ne hai del grande Gigli?

 Foto di Gigli con dedica a Magenta, Maestro di Ugo Benelli
UB: Eh, i ricordi sono che cantò... io ho rivisto i suoi costumi quando venni a Recanati a vedere il museo di Gigli, ho rivisto il costume della "Cavalleria rusticana", e cosa vuoi che ti dica? Lui bissò l' "Addio alla madre", poi bissò "Vesti la giubba", poi cantò un sette, otto canzoni napoletane, un po' di romanze e diceva: "Adesso devo andare a mangiare qualcosa!"

AA: Straordinario, doveva essere anche un gran simpaticone!

UB: Ma era ancora in grandissima forma, eh! Io non lo so, ma mi ha precisato Mattia che era il '52. Sì, è vero, perché io facevo il quarto anno di ragioneria e quindi i conti tornano, ma quanti anni aveva lui, a quell'epoca lì, nel '52?

AA: Quanti anni aveva, Mattia, Gigli, mi chiede il Maestro, nel '52? Aveva 62 anni, mi dice lui.

UB: Eh, vedi! Però cantava ancora in maniera splendida. E poi cantar tutta quella roba lì... non vedi che quelli di oggi si dividono le due opere ed è difficile che arrivino in fondo a una delle due, almeno in maniera dignitosa, ecco!

AA: Sì, ma perché poi lui faceva anche una cosa molto intelligente che, secondo me, si è fatta fino agli anni '80 e adesso... e che io invece ricordo sempre a tutti. Cioè, le opere sono scritte sulle mezza voci, ogni tanto c'è un forte, ogni tanto c'è un crescendo, ogni tanto c'è un acuto. Ma, invece oggi cantano urlando tutto, tutto forte, nel timore che la loro voce non si senta, in realtà non corre, perché schiacciano tutti i suoni. Dovrebbero usare proprio questo sistema del suono in maschera, ben girato, portato avanti, con una voce che corra bene in teatro e secondo me non si stancherebbero!

UB: Sono tutti drammatici urlanti, lo sono nella testa "drammatici" ma non lo sono nella realtà, però, capisci?

AA: Io dico che di drammatico queste voci hanno solo la mancanza di tecnica!

"Alla mia cara Astrea Amaduzzi ottimo soprano e "super" insegnante con tanto tanto affetto - Ugo Benelli

UB: Corelli diceva: "Io sono un lirico pieno", non diceva che era un tenore drammatico! Era l'unica voce che riempiva veramente l'Arena, quella di Corelli, come quantità proprio!

AA: Corelli anche aveva una voce... dunque hanno pubblicato un epistolario tra lui [Corelli] e Giacomo Lauri Volpi, e lui si è recato in Spagna a lezione da Lauri Volpi per ben dodici anni, ogni anno per farsi rimettere a posto la voce, perché lui praticamente oscillava sempre tra la tecnica dell'affondo e quella naturale che gli aveva insegnato Lauri Volpi, "di testa", con la "voce di testa"!

Il soprano Astrea Amaduzzi con il tenore Ugo Benelli - Genova, aprile 2016

UB: Certo, sono andato due volte io a casa sua [di Corelli] insieme a Zoboli e la seconda volta per scegliere... ci ha fatto sentire delle sue registrazioni delle quali lui non era mai contento e io ne avrò sentite per un ora, un'ora e mezza, e per me la cosa più stupenda di Corelli resta il suo "Celeste Aida".

AA: Eh sì, eh sì!

UB: E' stata una cosa fantastica! Intanto aveva due pianoforti, nel salone, lì nell'ingresso, uno accordato mezzo tono sopra e uno accordato a corista, uno era mezzo tono sopra...

AA: Ma dai! Comunque un dato molto interessante è che sia Gigli che Lauri Volpi avevano studiato tutt'e due a Santa Cecilia con lo stesso insegnante che era Cotogni, e Rosati, eh... voglio dire, era una bella scuola! C'è Mattia che ti vuole fare una domanda lui.

Il Maestro Mattia Peli con il tenore Ugo Benelli  che gli mostra il suo spartito de "Il Barbiere di Siviglia" di Rossini  - Genova, aprile 2016

UB: Ciao Mattia, dimmi.

MP (Mattia Peli): Volevo chiedere questo, siccome mi chiedevo, per chi li ha sentiti, diciamo, dal vivo... la cosa strana è che Gigli è l'unico che mi risulti fare un'Opera intera e poi fare, non so, Pavarotti parla di venti pezzi dopo l'Opera...

UB: Sì, [Gigli] ha fatto portare un pianoforte di quelli verticali...

MP: Ma come faceva?

UB: ...un pianoforte di quelli normali, non a coda, sai, un verticale e cantava fino a non finire! Eh... se la gente applaudiva, capisci, lui continuava a cantare. Io dico che, non lo so, quella serata sarà durata tre ore e mezza, perché cantar Cavalleria e Pagliacci, bissare l'Addio alla madre, bissare Vesti la giubba e poi, non so, cantare una diecina di canzoni napoletane, romanze... non lo so, non lo so!
Lui sapeva cantare, perché nei miei ricordi, di uno che non aveva ancora studiato canto, ma che era innamorato del canto... era che lui fraseggiava, capisci, fraseggiava. Cantava con gli interessi! Cantava con gli interessi, ma con la voce in avanti, capisci? ch'è come cantare a piena voce per certa gente che non sa dove mettere la voce, ecco! Cantava dolce, cantava morbido, Gigli, sempre. E poi, quando doveva sparare, aveva i suoi fa e fa diesis che erano delle caverne, eh! Pensa a "Pazzo io son" della Manon, eh, quando cantava quella la roba lì, veniva fuori il cannone, ecco. Perché aveva dei centri colossali, ma lui cantava  [imitando la voce alta di Gigli] sempre così, sempre tranquillo, con la voce alta, capisci, parlava così anche, quando lo incontrammo...
E Gigli e Caruso avevano un grande vantaggio. Non avevano collo, non esisteva il collo! C'era il corpo e la testa attaccato sul corpo. Anche se avessero voluto cantare in gola non ce la facevano, capisci! Quelli col collo, anche un po' lungo, sono sfavoriti nel canto.

Il Tenore Ugo Benelli discorre di musica con il Maestro Mattia Peli - Genova, aprile 2016
MP: Ma tu ti ricordi, da quella recita, che [Gigli] usasse ancora, diciamo, quello che viene chiamato "misto", "falsettone", ecc.?

UB: Me lo ricordo, sì! Me lo ricordo! Eccome! Perché... si sentiva un cantare morbido, capisci, si sentiva un cantare soave, si sentiva un cantare, come dire, cosa si può dire? la nebbia che si solleva da terra, hai capito? Non sentivi niente di pressato o di premuto! Sono ricordi di un raggazzo di diciassett'anni che era vissuto in mezzo a dischi, capisci, appassionati, e che amava il canto, che sperava un giorno di cantare. Però è un ricordo meraviglioso. I miei compagni di classe mi ringraziano ancora, quella diecina o quindici che erano venuti. Eravamo all’Augustus e mi ricordo che eravamo nelle ultime file. E per tenere su la platea c'erano dei pali di ferro e noi per spendere poco, eravamo andati in quei sedili dove, davanti, per vedere Gigli ti dovevi sporgere tutto e avevamo il palo di ferro davanti, capito.

(Intervista di Belcanto Italiano, condotta dal soprano Astrea Amaduzzi assieme al M° Mattia Peli, al tenore di grazia Ugo Benelli registrata il 31 marzo 2016)






martedì 7 giugno 2016

Il "misto" di Gigli nella testimonianza di Lauri Volpi

Il "misto" di Gigli nella testimonianza di Lauri Volpi - di Mattia Peli

Cari lettori, oggi vi regaliamo una significativa testimonianza del grande Tenore Giacomo Lauri - Volpi che racconta come testimone diretto di quale splendore vocale fu capace Gigli nella sua intelligentissima ed accurata gestione della voce tenorile.

Buona lettura e un caro saluto dal "Centro Internazionale di Studi per il Belcanto Italiano Beniamino e Rina Gigli" di Recanati

<<Al Metropolitan alternavo il lavoro con altri elementi della mia corda. In un Teatro, dove il coro italiano cantava, oltre che nella propria lingua, in inglese, in francese e in tedesco, partecipando a dieci rappresentazioni settimanali di opere diverse, gli artisti delle varie classi vocali eran numerosi.

Fra i tenori eccellevano Martinelli, Gigli, Chamlee, Tokatyan, Melchior, Jagel e Laubenthal con vari repertori (...) Gigli superò se stesso nella "Marta", opera che Flotow sembra abbia scritta per lui. Andai ad udirlo in una giornata bianchissima di neve, trionfatrice del pulviscolo nero vomitato dagli infiniti comignoli. I clamori del traffico giungevano smorzati, quasi spenti, scivolando i veicoli silenziosi sulla coltre soffice.


La recita vespertina del classico sabato teatrale newyorchese aveva richiamato gran folla. Gigli cantò con leggerezza di voce, facilità d'emissioni e castigatezza di stile tutta la sua parte e non tentò, seguendo predilezioni invalse nel canto dozzinale d'innumerevoli mediocrità, le effusioni lagrimogene dei centri rigonfi a completo detrimento dei suoi acuti.

 

Il piano di Caruso, che alcuni vogliono imitare, scaturiva dall'anima nel suono, libero da singhiozzi, e permeava l'intera gamma vocale, dal "do basso" al "si naturale" acuto, perfetta di colore, di calore, di ampiezza e di omogeneità. Gigli nella "Marta" trovò il misto, che è ammesso anche dai classici del canto, non come sistema ma per eccezione in determinate esigenze di espressione cromatica.

Il misto è affine alla mezza-voce e alla voce, non mutando il colore dei suoni per quanto alleggeriti e smorzati. Il falsetto, di cui abusa la scuola francese, è invece un'altra voce nella voce, specie quando il tenore l'adopera nella regione acuta, in cui assume la tonalità tipica dei suoni femminili. Il tenore, in altri termini, per una metamorfosi strabiliante, si trasforma in soprano; il maschio diventa femmina.

Il Coro della Cappella Sistina, non permettendo la Chiesa l'inclusione di soprani donne nella falange polifonica del canto sacro, accettò in altri tempi la collaborazione di cantori evirati per le parti di soprano e mezzo soprano, ma affidò sempre ai tenori, dal tipico timbro chiaro e brillante, le parti relative, in modo da ottenere l'impasto dei timbri e dei colori nelle esecuzioni sacre. Tale plastica dei varii suoni non si potrebbe, a fil di logica, conseguire, se i tenori cantassero in falsetto nei complessi vocali, che per l'intonazione mistica dei brani e la religiosità del luogo potrebbero anche tollerarlo. Chi potrà indulgere a una tecnica di canto, basata sul "falsetto" come agevole metodo di ipotetico risparmio nell'economia dei suoni, in pieno campo melodrammatico, in cui il canto è "pathos" lirico, è azione cantata? (...)

Tornando al misto, Gigli nella "Marta" seppe astenersi dai suoni equivoci e dare la esatta misura del suo valore di cantante esperto. Lo udii, poi, nell' "Elisir d'amore". La melodia donizettiana domanda stile castigato, corretto, nobile né più, né meno che il "Don Giovanni" di Mozart.

La "vis comica" scaturisce dalla situazione, non dalla puerilità grottesca dell'attitudine scenica, specie se Nemorino non può ostentare un aspetto avvenente. La voce deve cantare come uno strumento docile nelle mani di un virtuoso.

Schipa, da me udito al vecchio Costanzi di Roma, oggi Teatro Reale, non sortì dalla natura un organo dalle ampie risonanze e dai suoni preziosi. Cionondimeno, creò un Nemorino musicale, armonioso, stilistico entro la linea di un'interpretazione scenica sobria e convincente, che lo rese famoso in tutte le platee del mondo. (...) Nemorino non è un istrione; è una povera anima incompresa, una umile natura inquieta, sospettosa insieme e credula nella sua ingenuità di villano timoroso e timido. Gigli nel confronto delle due edizioni di "Elisir d'amore" guadagnò per bellezza ed armoniosità di voce (...)

Comunque ambedue le edizioni mi fecero ammirare le virtù degli artisti italianissimi, che seguirono le tradizioni del "bel canto" nel senso migliore della parola, vale a dire nel concetto di elevata compostezza lineare e di sincerità emotiva in cui il virtuosismo non tradisce l'espressione del pensiero.>>

[da: G.Lauri Volpi - "L'equivoco", 1938]

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mercoledì 2 marzo 2016

Beniamino Gigli: tecnica delle vocali e degli acuti

BENIAMINO GIGLI SPIEGA COME PASSARE DA UNA VOCALE ALL'ALTRA IN GENERALE ED IN PARTICOLARE SUGLI ACUTI


<<When one has to pass from one vowel to another on the same note, or an interval, it is necessary, imperative even, to avoid any sudden or brusque change of the internal shaping and tonal setting. As far as the high notes are concerned I can say that the passing from one vowel to another (or, say, consecutively to all the vowels one after the other) on the same pitch, for example, is barely felt; in other words, the difference of position of the focused tone in the resonance cavity between one vowel and the next is so slight as to be barely noticeable.>>

<<Quando si deve passare da una vocale ad un'altra sulla stessa nota, o su un intervallo, è necessario, perfino imperativo, evitare ogni cambiamento brusco e improvviso della forma interna e dell'impostazione di un tono. Per quanto riguarda le note acute posso dire che il passaggio da una vocale all'altra (o, diciamo, a tutte le vocali consecutivamente una dopo l'altra) sulla medesima altezza di tono, per esempio, viene sentito appena; in altre parole, la differenza di posizione del tono 'messo a fuoco' nella cavità di risonanza tra una vocale e la successiva è così lieve da essere appena percepibile.>>
Tratto dalla Lezione introduttiva di Beniamino Gigli, Londra dicembre 1946, in: E. Herbert-Caesari [Diplomé, La Regia Accademia di Santa Cecilia, Rome] - THE VOICE OF THE MIND – 1951



BENIAMINO GIGLI SPIEGA COME PASSARE DA UNA VOCALE ALL'ALTRA IN GENERALE ED IN PARTICOLARE SUGLI ACUTI<<When one has to...
Pubblicato da Beniamino Gigli e la tecnica del Bel Canto italiano su Mercoledì 2 marzo 2016